Qualche sera fa mi son trovato a scrivere, su uno dei tanti gruppi whatsapp che ancora frequento (qualcuno l'ho tagliato che non ce la facevo più per le banalità), con dei cari amici, del mondo pre-cristiano e del mondo post-cristiano. Di come fossero perfette le parole dell'apostolo Paolo riguardo al "farsi tutto a tutti" per lo scopo prefisso. E di come l'inculturazione, inventata dai gesuiti e incarnata dal mio lontanissimo parente fra' Matteo Ricci nella Cina del sedicesimo secolo, fosse opportuna e funzionale (lo scopo... il fine ultimo, sempre quello: il Dio di Gesù Cristo).
Credo che a Matteo e ai suoi compagni si riferisca Battiato, quando cerca un Centro di gravità permanente: "Gesuiti, euclidei, vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming".
La storia (Ludwig Hertling, Storia della Chiesa, Città Nuova ed. 1967) narra che Matteo, accompagnato dal confratello Michele Ruggieri, "Si presentò vestito da dotto cinese ma,..., non nascose la propria identità. Parlava e scriveva il cinese classico e con le sue cognizioni matematica, astronomia e geografia, seppe rendersi utile al governo, tanto che non fu opposta alcuna difficoltà alla sua predicazione del Vangelo".
La cosa che più mi piace di quest'uomo è sì l'intelligenza, ma specie l'amore concreto, reale, nell'entrare in una cultura difficilissima per un occidentale. Un grande lavoro con una fatica immensa.
Aveva dinanzi un mondo che non conosceva Cristo, è stato accolto come un grande (tale era) venuto da lontano, che amava genti lontane e sconosciute e aveva imparato lingua, costumi, tutto. Pur senza Wikipedia e il web.
Ma il mondo è davvero molto cambiato, specie qui nella vecchia Europa. Il mondo post-cristiano, in cui oramai viviamo immersi senza nemmeno più accorgercene, proprio stasera mi è esploso sotto gli occhi, e nel cuore.
Alla festa del nido della mia nipotina (due anni il prossimo 22 gennaio). Festa di Natale (forse dovrei metterlo minuscolo: natale) in cui le maestre, bravissime, preziose, hanno messo in piedi un festeggiamento di Natale parlando di auguri, festa, regali, anche famiglia. Mai nominato Gesù, che pure è bambino in questo evento, vicinissimo a quelle creature... Sembrava di stare non in Italia ma forse nei paesi scandinavi, dove tutto è assolutamente "politically correct", asettico (anomalo, tra i presenti non mi è parso di notare non italiani, quindi probabilmente tutti battezzati).
Questo il post-cristiano, ci siamo. Era scritto, mi sembra. La vecchia Europa al tracollo: tutti lo dicono, pur da punti di vista diversi.
E questo non credo richieda inculturazione. Ci vuole altro, dinanzi al rigetto del Vangelo, con annessi e connessi. Mio padre, uomo antico, saggio e onesto, citava un detto ricorrente: fai quel che il prete dice, non quel che il prete fa. Ma qui siamo oltre: si rigetta non la incoerenza, ma tutto. E lo rigetta chi ha in qualche modo conosciuto il cristianesimo. Credo ci siano grosse responsabilità in ognuno di noi credenti, in questo.
Ma se di testimonianza si è mancato, credo di testimonianza si debba crescere. Gli Atti degli Apostoli sono chiari: "Guardate come si amano". Non serve qui vestirsi da bonzi per entrare a corte imperiale. Necessita aderenza assoluta e non dubbia al Vangelo dei padri. Servono i fatti chiari, nitidi, e forse anche pubblici. Pur che non piacciono alla cultura dominante.
P.S. a proposito di WA: mi son reso conto di come sia cambiato il mio mondo comunicativo - ma forse di tanti - senza colpo ferire. Per anni, credo circa dal 1996 - il mio primo faticatissimo web, la posta elettronica mi è stata fondamentale nella comunicazione. Specie nei tempi recenti.
Oggi quelle poche email che ancora girano le vedo dallo smartphone in anteprima, e tutto ruota attorno a whatsapp. Pure troppo, vedo intorno dipendenze diffuse.
Cosa arriverà a breve, a soppiantare un WA divenuto antiquato?
giovedì 21 dicembre 2017
martedì 19 dicembre 2017
Separati (fedeli?)
Arrivato l’inverno pieno, ecco Natale, ancora.
Dieci anni fa ero in ospedale, in questi giorni, in Neurologia, ricovero d’urgenza per accertamenti. Mi dimisero alla vigilia del Natale, il primo fuori casa, senza una diagnosi certa di quanto era accaduto. E qui, nel mio eremo, all’inizio fu davvero dura, ma non ne ho quasi memoria. Un mattino, col vecchio tetto ora sostituito, al risveglio rilevai 4°C in camera da letto... Vero che la mente umana è selettiva, deve andare avanti e resetta cose spiacevoli.
Fu comunque una sorta di miracolo, sopravvivere col gelo, interno del dolore, ed esterno della casa che andava ancora molto sistemata. Ma all’epoca i prezzi delle case erano alle stelle, e questa mi è toccata col denaro disponibile (oltre al mutuo e un prestito).
Molto è cambiato, quel gelo è stato produttivo, direi. Qualcuno paragonava l’uomo al seme sepolto nella terra, ove l’inverno è davvero duro, col gelo e nel buio assoluto. Ma il seme sta, resiste e produce a tempo debito.
Stasera son rientrato in casa appena imbrunito, con la temperatura esterna che stava già intorno allo zero. Mi son scoperto poca voglia di scendere dalla macchina ed entrare in casa. Mi son detto che tanto nessuna mi aspettava e nessuno si sarebbe accorto se rientravo o meno. Indifferente al mondo? Ho riso, in me. Ma son rientrato, preparato una vaga cena, e messo al lavoro. Ovvero: telefonate inframmezzate da pezzi di opera belliniana. Debbo dire che trovo bellissimo godermi gli applausi a scena aperta a certe arie ben eseguite… la gioia dell’interprete è visibile in qualche caso, e contagiosa. Ed è il risultato di un circolo d’amore, quando il pubblico, ringraziando con entusiastico battimani, dichiara amore a chi si è impegnato per ben cantare, che amore è per il pubblico. Un circolo virtuoso, bello, esemplare.
Il 7 dicembre mi son fortuitamente ritrovato a fare una visita a Loreto. Assolutamente in-programmato, quasi da altrove diretto. Freddo molto, fuori, una ennesima grazia dentro.
Mi son reso conto di stare lì a rappresentare, proprio in quel momento, tutti i separati della terra, in qualche modo. Nella casa della Sacra Famiglia, in una sera speciale. Ad offrire e chiedere, anche.
Perché questo si fa nella casa del Padre, in famiglia. Un circolo d’amore, pure qui, virtuoso.
Eccolo, ancora, l’inverno. Il tempo fugge via, e nulla sopravvive al suo impeto.
Mi accorgo che son due mesi che non pubblico qui sul blog. Ma mai sono stato fermo o altrove, "sto sul pezzo" decisamente e su vari fronti impegnato.
E nel tempo ho capito, alfine, cosa devo fare da grande… eh già! Nel tempo che resta, solo o meno, vivere e lavorare per questa umanità lacerata che risponde al nomignolo (brutto, ma efficace) di separati fedeli. Separati fedeli: qui si può dire, anzi si deve, a chiare lettere! Fedeli al matrimonio – sacramento. Ovvero, come altri fedeli al loro sacramento, fedeli al Dio che ci pensò sin dal seno materno e al suo disegno in cui tutto si ricapitola, il disegno che a volte col vivere di permissioni rendiamo uno scarabocchio informe…
E' un semplice ricambio d'amore, immeritato, nel circolo virtuoso.
(foto mia, Firenze, estate 2017)
giovedì 19 ottobre 2017
Milleseicento anni dopo
Scrivere, specie qui, in un blog di nicchia, comporta concentrazione attenzione dedizione. Doti che in questa fase della vita mi scarseggiano, concentrato in migliaia di cose “altre”. Lo scrivere qui mi è stato di fondamentale aiuto e così interfacciarmi con centinaia di amici, vecchi e nuovi, per lo più rimasti a me sconosciuti. Sempre vivendo questo scrivere come una sorta di dialogo interiore condiviso… tante volte inizio a scrivere e poi se non son convinto non arrivo a pubblicare.
Pocanzi, in un momento buono, qui con l’imbrunire incombente, con la temperatura che scende drastica e il bisogno di tepore, con la Norma di Bellini che mi allieta udito e sentimenti (a proposito, Vincenzo Bellini: mia scoperta recentissima, un genio di due secoli fa, che in pochissimo tempo – scomparso appena 34enne – ha creato talmente tanto e bello da non crederci!) sono entrato a vedere il blog, ovvero le visite (operazione un tempo più frequente... in fondo qualche soddisfazione ci può pure stare, no?).
Non scrivo dal 17 settembre, non ho più il link di un importante portale… e quindi sono rimasto ammutolito: nell’ultima settimana una quantità impensabile di “visualizzazioni di pagine” nientemeno che dalla Russia! Da sempre ho visite da ogni dove, molte russe, ma oggi queste le trovo numericamente preponderanti. Mi sono commosso, e messo a scrivere. Senso del dovere? Un rendere giustizia, soddisfazione, a chi mi viene a cercare sul web? Sarà pure che sto leggendo Genti di Dio, della fotografa polacca Monika Bulaj (eh sì, un libro di fotografie – splendide – che è anche ben altro) che mi rende vicinissimo alle genti del nord…
Sono stato di recente a Milano, invitato a donare alcune cose ad un gruppo di fidanzati. Da anni avevo voglia, e bisogno di andare: c’era un amico da visitare, dopo oltre trenta anni di lontananza. Un amico che ha dato grande significato alla mia giovinezza, e che poi ho dovuto lasciare alle spalle. Avevo da vivere, crescere e ritrovare il mio Dio. Che non stava agli antipodi, per quanto ce lo abbia pervicacemente cercato. Stava qui, nei paraggi. Non grida, non pretende, tace e sta. C’è bisogno di silenzio, quello vero, per sentire lo zefiro, l’alito del vento di prossimità.
Dovevo andare a ringraziare: non atto dovuto, ma dal cuore, profondo. Siamo stati nel tempo immoto, ci siamo intesi come sempre, e oggi ci stiamo comunicando le cose importanti dell’esistere.
Siamo on the road, in viaggio, ensamble, todos… grazie!
In questa epoca sempre più tormentata ho trovato grande aiuto nel rileggere, ancora una volta, un piccolo testo di sant’Agostino, dal titolo oggi impresentabile, pare: La dignità del matrimonio. Un volume introvabile, sia su web che dall’editore ultimo. Siccome volevo acquistarne diverse copie da regalare ad amici con idee confuse, ho scritto all’editore chiedendo di ripubblicarlo, magari in formato digitale, se presume rischiosa la carta stampata. Un e-book da vendere a 5 euro, con zero investimento. L’editore ha già in catalogo opere di Agostino in e-book a quella cifra.
Silenzio assordante, nessuno si è degnato di darmi risposta. Forse già il titolo mette paura?
Agostino di Ippona, uomo nato appena milleseicento anni esatti prima di me, che ha passato parte dell’esistenza a combattere eresie: manichei, donatisti, pelagisti, semipelagisti, ariani. In fondo quello che siamo oggi è dipeso anche da lui.
Di quest’uomo – che sento vicinissimo per tante comunanze – una cosa in particolare mi risuona forte, stando io sempre più spesso al contatto con drammatiche realtà.
Sono parole eterne, ritenute la sintesi della sua vita: “Ci hai fatti per Te Signore, e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (Le Confessioni, I,1,1)
(Foto mia, Firenze Uffizi, luglio 2017)
domenica 17 settembre 2017
E quindi, l'amore?
Perché
mica tutti abbiamo la stessa percezione, la vediamo allo stesso modo. E poi
nella vita si cresce (non sempre).
Credo
di essere passato attraverso tutti gli stadi – o quasi, nel bene e nel male.
Poi, a un certo punto, qualcuno mi disse che ero arrivato all'amore oblativo.
Cooosa? andando a cercare... sì, aveva ragione!
Ma ci
son giunto con gli anni, col sangue... e con un grazie, ancora, a chi in
qualche modo mi ci ha costretto: la mia sposa.
Di
recente, qualcuno diceva pure dell'essere amabili: se l'amare non ti rende
amabile, che amore è? ci sta da farsi qualche domanda, no?
Ieri
sera ho visto un film di qualche anno fa, molto ben fatto, in cui una coppia
che si vuole bene, amalgamata, ben rodata, entra in crisi per via del
"sentire" altri, del sentimento, dell'innamoramento. E via, ciascuno
per la sua strada. Triste, perché pure il regista (che certo non vedeva altri
epiloghi possibili) non dipingeva due persone felici, poi.
Di
recente ho avuto un momento di forte tensione emotiva, incontrando, casualmente,
una signora con cui immediato c'è stato una sorta di ciak.
Certo, tutto può accadere, ogni giorno
può accadere. Come insegna la cultura odierna, ad esempio andando dietro ai
ferormoni, le sostanze chimiche che pare contribuiscano all'innamoramento, si
può passare di storia in storia, per tutta l'esistenza.
Sì,
ma poi? Chi te la risolve la solitudine, dentro? Come ti "centri"?
Canta
Battiato: “Cerco un centro di gravità permanente”... essì, è questo il quesito:
trovare equilibrio in sé, un centro di gravità “per la mente” e che sia permanente,
pure.
Ci
vuole amore, amore vero. Per Dio e per il coniuge, ad affrontare questa
solitudine, a starci dentro, attimo dopo attimo, notte dopo notte. Quando sai,
e senti, che il tuo corpo invecchia, che si avvicina il gran momento, il mondo
fuori predica, promette e fa ben altro, e tu stai a vivere la volontà del tuo
coniuge... una volontà che non era nei patti... ma nella promessa sì: nel bene
e nel male, nel dolore e nella malattia. Quindi ci siamo in pieno. Ché il tuo
impegno è prima con Dio, è per Lui e in Lui che così vivi, invecchi, muori.
Anni
fa una anziana moribonda signora confidò al marito, finalmente: "Come te,
nessuno mi ha mai amata..." Lui ne fu certo felice, ma dico io: e non
poteva dirglielo un po’ prima???
Paolo
di Tarso raccomanda: "I mariti poi amino le mogli come Cristo ha amato la
Chiesa". Ovvero: il Golgota, e la Resurrezione che ne consegue.
Mi sa che ci siamo in pieno, checché altrove
se ne dica…
(Foto mia, luglio 2017, Venezia dopo un bel temporale estivo)
(Foto mia, luglio 2017, Venezia dopo un bel temporale estivo)
sabato 1 luglio 2017
La vita è adesso
Stamani mi son svegliato ad un'ora insolita. Una notte in cui ho dormito, complice anche la temperatura più umana - presumo, dieci ore e mezzo di seguito! Il mio standard attuale è molto meno. Evidente che ce ne stava urgente bisogno.
Son rientrato ieri sera da una due giorni tra Roma e Fiumicino.
A Roma per un meeting con amici per festeggiare realtà lontane, ma forse più vicine di quanto si immagini. A festeggiare i nostri sogni e il vivere giovanile alla sequela dell'Ideale più grande possibile: Gesù che prega "Ut omnes unum sint" e poi lo realizza inchiodato ad una croce, rigido. Rigido come nessuno al mondo, mai.
Sogni giovanili, calati nelle nostre giovani e puerili esistenze. In qualcuno hanno fatto boom, in altri si son consolidate, in tanti hanno vissuto la prova dell'esistenza.
Tra questi ultimi: io e tante persone a me molto care.
La prova dell'esistenza: per me venti anni di deserto, duro, senza acqua, con miraggi continui e poi svaniti, con delusioni, sangue, fatica immane. Ci stava da crescere tanta gioventù (che poi è ben cresciuta, ma il merito - se merito ci sta - è da cercare in Cielo), da portare avanti la baracca, da sopravvivere, alfine, e comunque.
Errori, tanti.
Ma come raccontavo, ringrazio Iddio e chi per Lui ha agito, per quanto indirettamente, ché questo deserto è stato utile, e solo oggi posso vederne la grandezza. Il male non è mai auspicabile né fa bene alla salute. Ma proprio quel Gesù è capace di trasformare il male in bene. Dipende da come si vive, da come si accoglie, da come si arriva persino a tramutare l'acqua in vino...
A Roma ho vissuto qualche momento di discreta ansia, finché non mi son detto che tutto era, è, nelle mani di Dio: "Lasciate ogni sollecitudine in me"! Poi, a sentire i presenti, tutto è andato più che bene.
Ieri mattina mi son svegliato con altri programmi, sarei partito subito da Roma per un veloce passaggio ad altro convegno, a Sacrofano, almeno per un saluto ad amici carissimi.
Ma a Fiumicino stavano per giungere prima mia nuora e poi mio figlio... quindi pareva proprio che io stessi nei paraggi apposta per andarli ad accogliere! Cambio programma, e ho atteso qualche buona ora al molo di Fiumicino, in pieno relax, sotto un sole velato ma denso di brezza marina. Un relax anomalo, per chi è abituato a correre e fare. Ma di una serenità assoluta.
Come poi stamani, quando mi son cimentato in lavatrici e ordine in tante piccole cose che da tempo attendevano. Tò, mi son detto, si parlava di rivoluzioni e di grandi cose... e infatti questa è la rivoluzione maggiore, sempre: quella in sé, nell'equilibrio interiore. Nell'essere, a prescindere dal fare.
Tanto vero che quest'estate, come forse mai prima accaduto, mi sto appieno godendo il sole del mio terrazzo. Riesco a stare ore al sole, cosa per me solitamente impossibile. Lo registro come una serenità nuova, dentro.
Adesso, che qui scrivo, mi accompagna la seconda sinfonia di Rachmaninov come mi accompagnò quattro anni fa sul volo Hong Kong - Roma. Un volo indimenticabile e unico.
Certo, un ricordo bello di cose belle. Ma poi? Cosa resta?
In fondo, canta Baglioni, ed ha proprio ragione: "La vita è adesso".
Adesso: il momento di ora, il presente. In Dio, oppure no. Questo fa la differenza.
"Il resto è noia", canterebbe qualcun'altro...
(foto mia, Fiumicino, 30 giugno 2017)
Son rientrato ieri sera da una due giorni tra Roma e Fiumicino.
A Roma per un meeting con amici per festeggiare realtà lontane, ma forse più vicine di quanto si immagini. A festeggiare i nostri sogni e il vivere giovanile alla sequela dell'Ideale più grande possibile: Gesù che prega "Ut omnes unum sint" e poi lo realizza inchiodato ad una croce, rigido. Rigido come nessuno al mondo, mai.
Sogni giovanili, calati nelle nostre giovani e puerili esistenze. In qualcuno hanno fatto boom, in altri si son consolidate, in tanti hanno vissuto la prova dell'esistenza.
Tra questi ultimi: io e tante persone a me molto care.
La prova dell'esistenza: per me venti anni di deserto, duro, senza acqua, con miraggi continui e poi svaniti, con delusioni, sangue, fatica immane. Ci stava da crescere tanta gioventù (che poi è ben cresciuta, ma il merito - se merito ci sta - è da cercare in Cielo), da portare avanti la baracca, da sopravvivere, alfine, e comunque.
Errori, tanti.
Ma come raccontavo, ringrazio Iddio e chi per Lui ha agito, per quanto indirettamente, ché questo deserto è stato utile, e solo oggi posso vederne la grandezza. Il male non è mai auspicabile né fa bene alla salute. Ma proprio quel Gesù è capace di trasformare il male in bene. Dipende da come si vive, da come si accoglie, da come si arriva persino a tramutare l'acqua in vino...
A Roma ho vissuto qualche momento di discreta ansia, finché non mi son detto che tutto era, è, nelle mani di Dio: "Lasciate ogni sollecitudine in me"! Poi, a sentire i presenti, tutto è andato più che bene.
Ieri mattina mi son svegliato con altri programmi, sarei partito subito da Roma per un veloce passaggio ad altro convegno, a Sacrofano, almeno per un saluto ad amici carissimi.
Ma a Fiumicino stavano per giungere prima mia nuora e poi mio figlio... quindi pareva proprio che io stessi nei paraggi apposta per andarli ad accogliere! Cambio programma, e ho atteso qualche buona ora al molo di Fiumicino, in pieno relax, sotto un sole velato ma denso di brezza marina. Un relax anomalo, per chi è abituato a correre e fare. Ma di una serenità assoluta.
Come poi stamani, quando mi son cimentato in lavatrici e ordine in tante piccole cose che da tempo attendevano. Tò, mi son detto, si parlava di rivoluzioni e di grandi cose... e infatti questa è la rivoluzione maggiore, sempre: quella in sé, nell'equilibrio interiore. Nell'essere, a prescindere dal fare.
Tanto vero che quest'estate, come forse mai prima accaduto, mi sto appieno godendo il sole del mio terrazzo. Riesco a stare ore al sole, cosa per me solitamente impossibile. Lo registro come una serenità nuova, dentro.
Adesso, che qui scrivo, mi accompagna la seconda sinfonia di Rachmaninov come mi accompagnò quattro anni fa sul volo Hong Kong - Roma. Un volo indimenticabile e unico.
Certo, un ricordo bello di cose belle. Ma poi? Cosa resta?
In fondo, canta Baglioni, ed ha proprio ragione: "La vita è adesso".
Adesso: il momento di ora, il presente. In Dio, oppure no. Questo fa la differenza.
"Il resto è noia", canterebbe qualcun'altro...
(foto mia, Fiumicino, 30 giugno 2017)
lunedì 22 maggio 2017
Fatima. E dintorni...
Un periodo intensissimo di progetti, cose, lavori.
Di botto aderisco alla proposta di un amico. Un sogno del cuore, da molto tempo oramai. Si parte per Fatima. Purtroppo, ma lo capiremo tardi, serviva più tempo per approfondire tante cose. La Signora meritava di più. Però abbiamo fatto del nostro meglio, mi sembra. Io, Emanuele e Giovanni, che non conoscevo. Un inedito terzetto che ha viaggiato all’unisono, un portento.
Il sogno, e bisogno, di Fatima creda mi nasca anche da quanto dichiarato dal cardinale Carlo Caffarra, fondatore e per decenni preside del Pontificio Istituto ‘Giovanni Paolo II’ per Studi su Matrimonio e Famiglia. In una intervista del 2008, e quindi in tempi non sospetti, il cardinale riporta quanto scrittogli da suor Lucia dos Santos, la sola dei tre testimoni delle apparizioni giunta ai nostri giorni: “…lo scontro finale… sarà sulla famiglia e sul matrimonio… perché chiunque lavora per la santità del matrimonio e della famiglia sarà sempre combattuto e avversato in tutti modi, perché questo è il punto decisivo.” E ancora, di suo, aggiunge il cardinale: “Si avvertiva, anche parlando con Giovanni Paolo II, che questo era il nodo, perché si toccava la colonna portante della creazione, la verità del rapporto fra l’uomo e la donna e fra le generazioni. Se si tocca la colonna portante crolla tutto l’edificio, e questo adesso noi lo vediamo, perché siamo a questo punto, e sappiamo”.
Ci sto dentro sino al collo, e non per mia scelta, quindi devo starci e viverci bene. Se non questo, oggi, lo scontro finale, quando?
Appuntamento a Bologna a fine aprile, si parte.
Sull’aereo Emanuele incontra persone che conosce, persone che a Fatima sono di casa. Toh, e chi lo ha architettato? Saremo spesso con loro, anche ospiti, in uno svelamento progressivo delle realtà di Fatima.
Ci toccano giornate fredde, con una tramontana che disegna un blu impossibile del cielo. Faccio foto, con discrezione, ma non posso evitare. Da chi porta fiori alla Signora, a chi cammina in ginocchio sino al luogo dell’apparizione. Da chi accende decine di candele, a chi recita rosari su rosari.
Una foto può essere un atto di amore, dipende. Mi pare di entrare nei cuori e nei dolori di tanti. Trovo serenità diffusa, un silenzio soprannaturale avvolge gli eventi. Anche se presumo molti siano qui per “presentare dei problemi”.
Anzi, siamo: anche io ho molto del mio, e deleghe di tanti che mi hanno chiesto di rappresentare alla Signora i loro bisogni. Cosa che naturalmente eseguo, anche se arrivo poi a ricordare quanto si racconta di padre Pio, che si contristava molto ascoltando le sole richieste di miracolo, di quanti chiedevano il cessare del loro dolore. E lui si domandava perché mai nessuno chiedesse la Grazia di accettare la propria vita, di vivere nel proprio dolore, da cristiani.
Mi sembra che una sola cosa sarebbe da chiedere, in primis, per tutti e per tutto. Una cosa talmente banale che manco ci si pensa.
Ricordo il mio catechismo, quello che si studiava 50 anni fa (paiono passati millenni… e poco tempo mi resta, argh!). Mi piace citare a memoria (sarebbe facile una ricerca, no?) uno degli “articoli fondamentali”: a che serve vivere? La questione delle questioni, pur quando – sempre più spesso e sempre più amabilmente – la si bypassa concentrandosi nel mordi e fuggi, nel carpe diem…
Recitava (?): “Vivere serve per conoscere, servire e amare Dio, onde poi goderlo nell’altra”. Seeee! e a chi lo racconti oggi?
Quindi mi pare di dover chiedere soprattutto che si realizzino i piani di Dio su ciascuno, i disegni di luce e di bellezza che ogni umano porta in sé, per quanto magari abilmente nascosti sotto coltri di altro. “Sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra”. Semplice. La realizzazione del disegno eterno, che è sicuramente molto più importante e più bello delle cose giuste e sante che abbiamo consuetudine di chiedere, e che molto spesso passa attraverso l'amore a Gesù crocifisso e abbandonato. Anzi sempre, mi sa.
Visita rapida ma proprio fruttuosa. Torno con due amici solidi in più e con il cuore pieno dell’amore di Dio, della certezza del suo agire nella mia storia personale, quando ti guardi indietro e hai modo di riconnettere i fili, almeno un poco di capire gli avvenimenti con gli occhi di Dio...
(foto mia, Fatima, aprile 2017 - qui per vedere qualche foto >> Fatima 2017 )
Di botto aderisco alla proposta di un amico. Un sogno del cuore, da molto tempo oramai. Si parte per Fatima. Purtroppo, ma lo capiremo tardi, serviva più tempo per approfondire tante cose. La Signora meritava di più. Però abbiamo fatto del nostro meglio, mi sembra. Io, Emanuele e Giovanni, che non conoscevo. Un inedito terzetto che ha viaggiato all’unisono, un portento.
Il sogno, e bisogno, di Fatima creda mi nasca anche da quanto dichiarato dal cardinale Carlo Caffarra, fondatore e per decenni preside del Pontificio Istituto ‘Giovanni Paolo II’ per Studi su Matrimonio e Famiglia. In una intervista del 2008, e quindi in tempi non sospetti, il cardinale riporta quanto scrittogli da suor Lucia dos Santos, la sola dei tre testimoni delle apparizioni giunta ai nostri giorni: “…lo scontro finale… sarà sulla famiglia e sul matrimonio… perché chiunque lavora per la santità del matrimonio e della famiglia sarà sempre combattuto e avversato in tutti modi, perché questo è il punto decisivo.” E ancora, di suo, aggiunge il cardinale: “Si avvertiva, anche parlando con Giovanni Paolo II, che questo era il nodo, perché si toccava la colonna portante della creazione, la verità del rapporto fra l’uomo e la donna e fra le generazioni. Se si tocca la colonna portante crolla tutto l’edificio, e questo adesso noi lo vediamo, perché siamo a questo punto, e sappiamo”.
Ci sto dentro sino al collo, e non per mia scelta, quindi devo starci e viverci bene. Se non questo, oggi, lo scontro finale, quando?
Appuntamento a Bologna a fine aprile, si parte.
Sull’aereo Emanuele incontra persone che conosce, persone che a Fatima sono di casa. Toh, e chi lo ha architettato? Saremo spesso con loro, anche ospiti, in uno svelamento progressivo delle realtà di Fatima.
Ci toccano giornate fredde, con una tramontana che disegna un blu impossibile del cielo. Faccio foto, con discrezione, ma non posso evitare. Da chi porta fiori alla Signora, a chi cammina in ginocchio sino al luogo dell’apparizione. Da chi accende decine di candele, a chi recita rosari su rosari.
Una foto può essere un atto di amore, dipende. Mi pare di entrare nei cuori e nei dolori di tanti. Trovo serenità diffusa, un silenzio soprannaturale avvolge gli eventi. Anche se presumo molti siano qui per “presentare dei problemi”.
Anzi, siamo: anche io ho molto del mio, e deleghe di tanti che mi hanno chiesto di rappresentare alla Signora i loro bisogni. Cosa che naturalmente eseguo, anche se arrivo poi a ricordare quanto si racconta di padre Pio, che si contristava molto ascoltando le sole richieste di miracolo, di quanti chiedevano il cessare del loro dolore. E lui si domandava perché mai nessuno chiedesse la Grazia di accettare la propria vita, di vivere nel proprio dolore, da cristiani.
Mi sembra che una sola cosa sarebbe da chiedere, in primis, per tutti e per tutto. Una cosa talmente banale che manco ci si pensa.
Ricordo il mio catechismo, quello che si studiava 50 anni fa (paiono passati millenni… e poco tempo mi resta, argh!). Mi piace citare a memoria (sarebbe facile una ricerca, no?) uno degli “articoli fondamentali”: a che serve vivere? La questione delle questioni, pur quando – sempre più spesso e sempre più amabilmente – la si bypassa concentrandosi nel mordi e fuggi, nel carpe diem…
Recitava (?): “Vivere serve per conoscere, servire e amare Dio, onde poi goderlo nell’altra”. Seeee! e a chi lo racconti oggi?
Quindi mi pare di dover chiedere soprattutto che si realizzino i piani di Dio su ciascuno, i disegni di luce e di bellezza che ogni umano porta in sé, per quanto magari abilmente nascosti sotto coltri di altro. “Sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra”. Semplice. La realizzazione del disegno eterno, che è sicuramente molto più importante e più bello delle cose giuste e sante che abbiamo consuetudine di chiedere, e che molto spesso passa attraverso l'amore a Gesù crocifisso e abbandonato. Anzi sempre, mi sa.
Visita rapida ma proprio fruttuosa. Torno con due amici solidi in più e con il cuore pieno dell’amore di Dio, della certezza del suo agire nella mia storia personale, quando ti guardi indietro e hai modo di riconnettere i fili, almeno un poco di capire gli avvenimenti con gli occhi di Dio...
(foto mia, Fatima, aprile 2017 - qui per vedere qualche foto >> Fatima 2017 )
mercoledì 5 aprile 2017
E chi poteva immaginare?
Accade, pure.
Andare al funerale di una signora cui era legata più la tua sposa che te, e con una sorta di delega a rappresentare. Maria Teresa, una donna grande, una che amava coi muscoli, ora nel seno del Padre, in eterno. E qui, ora, a noi da presso.
Accade, pure.
Avere, lì, accanto alla sua bara, la certezza che quel che ti lega alla persona più amata è molto molto più di quanto te ne separa, ammesso che esista qualcosa che possa separare. Alla fine, sei tu che decidi, è la tua vita a scegliere tra il bene e il male. Tra l'unito e il diviso.
Accade, pure.
Andare a dialogare con giovani in procinto si sposarsi dinnanzi a Cristo, dire del proprio vissuto e dire del paradiso possibile sempre, con o senza reciprocità.
Accade, pure.
Che ogni notte pare giungere subitanea che il giorno era appena cominciato, che il tempo pare non bastarti mai, che infine sempre nel tuo presente prosegui il dialogo con l'Eterno.
Accade, pure.
Alzarsi ogni mattino sapendo di essere un miracolo che ancora si perpetua, di nuovo, in luci e ombre, in canti e in silenzi inenarrabili. Umano, semplicemente profondamente drammaticamente umano.
Accade, pure.
E poi, dopo giorni, alzarsi un mattino e sentirsi dentro cantare di nuovo come a quel funerale: quando busserò alla tua porta, quando chiederai il mio nome, una sola parola: grazie! Ecco, solo grazie. Chi poteva immaginare?
Accade, pure.
Dopo anni in cui è avvenuto quasi di tutto, anche con terribili e giustificabili tristezze, stare qui, all'eremo, in una notte come tante a scrivere. Tra telefonate con amiche e messaggi whatsapp con i figli sparsi sulla terra, scrivere povere righe per tentare di dire del cuore di questa epoca.
Tutto finirà, tutto. Nulla resiste, il tempo vince sempre.
Solo il presente vissuto in Cielo dura.
Solo il presente diviene eterno, se già ora nel cuore dell'Eterno.
Come sognavamo cinquanta anni fa, ma forse ancor più, molto più.
(Ma erano sogni, e i sogni di solito non si realizzano... dice!)
E chi poteva minimamente immaginare tanto?
(foto mia, Umbria - Brufa 2016)
Andare a dialogare con giovani in procinto si sposarsi dinnanzi a Cristo, dire del proprio vissuto e dire del paradiso possibile sempre, con o senza reciprocità.
Accade, pure.
Che ogni notte pare giungere subitanea che il giorno era appena cominciato, che il tempo pare non bastarti mai, che infine sempre nel tuo presente prosegui il dialogo con l'Eterno.
Accade, pure.
Alzarsi ogni mattino sapendo di essere un miracolo che ancora si perpetua, di nuovo, in luci e ombre, in canti e in silenzi inenarrabili. Umano, semplicemente profondamente drammaticamente umano.
Accade, pure.
E poi, dopo giorni, alzarsi un mattino e sentirsi dentro cantare di nuovo come a quel funerale: quando busserò alla tua porta, quando chiederai il mio nome, una sola parola: grazie! Ecco, solo grazie. Chi poteva immaginare?
Accade, pure.
Dopo anni in cui è avvenuto quasi di tutto, anche con terribili e giustificabili tristezze, stare qui, all'eremo, in una notte come tante a scrivere. Tra telefonate con amiche e messaggi whatsapp con i figli sparsi sulla terra, scrivere povere righe per tentare di dire del cuore di questa epoca.
Tutto finirà, tutto. Nulla resiste, il tempo vince sempre.
Solo il presente vissuto in Cielo dura.
Solo il presente diviene eterno, se già ora nel cuore dell'Eterno.
Come sognavamo cinquanta anni fa, ma forse ancor più, molto più.
(Ma erano sogni, e i sogni di solito non si realizzano... dice!)
E chi poteva minimamente immaginare tanto?
(foto mia, Umbria - Brufa 2016)
sabato 11 marzo 2017
Tramontana di marzo
Cronaca di una giornata pienissima. Un sabato che merita ricordo.
Freddo pungente di marzo, con una tramontana notevole. Vado a camminare, un bel giro con parti sconosciute. Al ritorno poto il glicine che ho sotto casa, esposto a sud, che cresce e tende a strabordare.
Nel pomeriggio cerco il contatto whatsapp di una cara amica che non sento da tempo. Che fine avrà fatto? Vedo che ha cambiato foto. Ingrandisco e resto a bocca aperta. Ha tolto quella recente, sta con i due figli bambini, la piccola appena nata. E lei stessa una bella bimba. Evidente che il marito stava dietro l’obiettivo. Una famiglia felice, al top. Come non rimanere ammutoliti, al constatare tanta felicità che oggi pare decisamente svanita? Separata, in una situazione abbastanza complessa. Penso alla vita, ai dolori impensabili, alle gioie che a volte manco più sono un ricordo.
Nei giorni scorsi su un muretto ho visto dei fiorellini di pochi millimetri. Mi arrampico per fotografarli, e ad ogni scatto debbo attendere che il vento cessi di soffiare, anche per pochissimo. La foto è qui sopra, ne valeva la pena.
Mi inviano il link ad un intervento interessante del prof. Zamagni, e youtube, sotto di questo, mi propone video sulla felicità, ed altro. Vado a vedere. Rete TEDx, mi informo pure di cosa sia. Ma resto impietrito dinanzi ad un signore che parla di felicità promuovendo risate, e che nei commenti è definito maestro di vita. Non riesco a vederlo tutto.
Passa mia figlia con i due giovani maschi, baldanzosi e bellissimi più che mai. Nonno, cosa hai da farci mangiare? Hanno fatto merenda, ma rapidamente attrezziamo un pane tostato e olio. Nonno, perché non ci regali un po’ di noci? Ah le noci! stanno lì, poche e nemmeno buone, una pessima annata. Preparo una busta, che poi dimenticano di prendere.
Esco per andare a messa, chiamo un amico che so stare in fase delicatissima per i rapporti con la moglie, separata. Poi alla radio una notizia drammatica: a Palermo un separato, clochard - per sua scelta, dicono – è stato cosparso di benzina mentre dormiva dentro un cartone e arso vivo. Penso a quel “clochard per sua scelta”. Penso alla tristezza che la separazione inevitabilmente genera, che può sfociare in omicidi, suicidi, depressioni, angosce, notti insonni, tumori, vite irreparabilmente rovinate.
Ma penso pure alla grazia che vivo. Dieci anni fa ero sotto un autotreno, come si dice in gergo. Stavo per partire per Santiago, stavo per dare una virata al vivere, ma non ne avevo la minima cognizione. Non avrei scommesso un centesimo sulla mia sopravvivenza.
Eppure tutto è cambiato, orizzonti sconfinati che si aprono di continuo, un cuore che, coi suoi ovvi limiti, comunque in qualche modo palpita per l’umanità tutta.
Se potessi trarre una sintesi del tutto, dovrei dire che la cosa che più conta è trovare un equilibrio nuovo, dentro. Magari in Dio, che è certo il top. Tutto tende a Lui, per chi crede.
Mi son pure fugacemente chiesto della mia sposa, cosa faceva in quel momento. Nulla so, nulla devo sapere. Altrove. Eppure il cuore la senta vicina come non mai.
Torno a casa che è notte oramai. La luna è splendida, le stelle qui da me, all’eremo, nel buio vero e limpido, si possono contare. È freddo, ancora tramontana. La tramontana di marzo, che parla al cuore e parla di eterno, dice di Dio.
Qui, ora, suona il Messiah di Handel.
“Il Dio che attera e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice…”
(foto mia, oggi)
Freddo pungente di marzo, con una tramontana notevole. Vado a camminare, un bel giro con parti sconosciute. Al ritorno poto il glicine che ho sotto casa, esposto a sud, che cresce e tende a strabordare.
Nel pomeriggio cerco il contatto whatsapp di una cara amica che non sento da tempo. Che fine avrà fatto? Vedo che ha cambiato foto. Ingrandisco e resto a bocca aperta. Ha tolto quella recente, sta con i due figli bambini, la piccola appena nata. E lei stessa una bella bimba. Evidente che il marito stava dietro l’obiettivo. Una famiglia felice, al top. Come non rimanere ammutoliti, al constatare tanta felicità che oggi pare decisamente svanita? Separata, in una situazione abbastanza complessa. Penso alla vita, ai dolori impensabili, alle gioie che a volte manco più sono un ricordo.
Nei giorni scorsi su un muretto ho visto dei fiorellini di pochi millimetri. Mi arrampico per fotografarli, e ad ogni scatto debbo attendere che il vento cessi di soffiare, anche per pochissimo. La foto è qui sopra, ne valeva la pena.
Mi inviano il link ad un intervento interessante del prof. Zamagni, e youtube, sotto di questo, mi propone video sulla felicità, ed altro. Vado a vedere. Rete TEDx, mi informo pure di cosa sia. Ma resto impietrito dinanzi ad un signore che parla di felicità promuovendo risate, e che nei commenti è definito maestro di vita. Non riesco a vederlo tutto.
Passa mia figlia con i due giovani maschi, baldanzosi e bellissimi più che mai. Nonno, cosa hai da farci mangiare? Hanno fatto merenda, ma rapidamente attrezziamo un pane tostato e olio. Nonno, perché non ci regali un po’ di noci? Ah le noci! stanno lì, poche e nemmeno buone, una pessima annata. Preparo una busta, che poi dimenticano di prendere.
Esco per andare a messa, chiamo un amico che so stare in fase delicatissima per i rapporti con la moglie, separata. Poi alla radio una notizia drammatica: a Palermo un separato, clochard - per sua scelta, dicono – è stato cosparso di benzina mentre dormiva dentro un cartone e arso vivo. Penso a quel “clochard per sua scelta”. Penso alla tristezza che la separazione inevitabilmente genera, che può sfociare in omicidi, suicidi, depressioni, angosce, notti insonni, tumori, vite irreparabilmente rovinate.
Ma penso pure alla grazia che vivo. Dieci anni fa ero sotto un autotreno, come si dice in gergo. Stavo per partire per Santiago, stavo per dare una virata al vivere, ma non ne avevo la minima cognizione. Non avrei scommesso un centesimo sulla mia sopravvivenza.
Eppure tutto è cambiato, orizzonti sconfinati che si aprono di continuo, un cuore che, coi suoi ovvi limiti, comunque in qualche modo palpita per l’umanità tutta.
Se potessi trarre una sintesi del tutto, dovrei dire che la cosa che più conta è trovare un equilibrio nuovo, dentro. Magari in Dio, che è certo il top. Tutto tende a Lui, per chi crede.
Mi son pure fugacemente chiesto della mia sposa, cosa faceva in quel momento. Nulla so, nulla devo sapere. Altrove. Eppure il cuore la senta vicina come non mai.
Torno a casa che è notte oramai. La luna è splendida, le stelle qui da me, all’eremo, nel buio vero e limpido, si possono contare. È freddo, ancora tramontana. La tramontana di marzo, che parla al cuore e parla di eterno, dice di Dio.
Qui, ora, suona il Messiah di Handel.
“Il Dio che attera e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice…”
(foto mia, oggi)
venerdì 3 marzo 2017
E i talenti?
Ho ricevuto una intrigante telefonata, da persona a me sconosciuta. Mi si chiedeva cosa c'è dietro le parole con cui ho chiuso il post del 5 febbraio, del perché, come la penso. Ma il mio è un ragionamento semplicissimo da uomo della strada, da pseudo credente quale sono. Sì, un errante incallito, ma con po’ di vissuto nel sangue e tanta voglia ancora di vivere il Vangelo in pienezza, come Via al Dio di Gesù.
Perché oggi mai si sente parlare dei talenti evangelici, almeno a quanto mi risulta.
Perché parlare tanto di misericordia senza relazionarla ai talenti mi sembra una lettura parziale delle parole di Gesù e del messaggio evangelico: a me appare molto chiaro, ma certo potrei sbagliarmi, ovvio. Mi risulta che alla fine della vita sarà chiesto non a tutti uguale, ma a ciascuno in proporzione a quanto ha ricevuto: questo mi pare amore di Dio vero, il padre che aiuta i figli a imparare a nuotare: chi in mare aperto, chi nella piccola piscina. Nuotare tutti, ma ciascuno per quello che può!
Tanti anni fa, più di 40, ricordo una fase della vita in cui ero davvero angosciato per il futuro “dopo la morte” di persone a me carissime. Ne parlai con Gino, un sapiente amico, e ricevetti la giusta pace: mi illuminò che Dio non chiede mai nulla di più di quanto la persona può, e può anche in base a quello che ha ricevuto e che quindi è. Eccola la chiave di volta, la misericordia vera.
La mia sensazione di oggi è che tanti rischiano di rimanere fuorviati dalla filosofia del "tutto è uguale", "tutto va bene" e quindi ci si adagia al minimo, a pochi talenti pur avendone magari ricevuti immensi.
Mi ritrovo a volte col cuore trafitto nel leggere in tanti occhi una nostalgia di Dio antica e drammaticamente vera e non recepire attorno alcuna possibile luce ad illuminare la via alla verità e quindi alla gioia che quegli occhi anelano.
D'altronde ragionare di talenti mi porta inevitabilmente a parlare anche di verità: la Verità che è l'altra faccia della medaglia della Misericordia, se stiamo parlando di Dio, del Dio cristiano e cattolico come lo abbiamo ereditato da 2000 anni di storia. Oppure è altro, basta saperlo.
So bene di essere un signor nessuno, non ho titoli particolari e forse per qualcuno dovrei pure tacere. Però non posso e forse non devo, in virtù proprio del mio vissuto, della mia età, della mia esperienza per quanto fallace. Ma è anzi proprio questo, l'aver conosciuto la “terra di fuori”, che mi obbliga a trarre conclusioni interiori che alla fine non posso non esternare qui con voi.
Dopo l'anno santo della Misericordia, cosa bellissima, presumevo ci sarebbe stato l'anno santo della Verità. Sono rimasto deluso! Posso dirlo? Sono il solito ingenuo, ma tanto oramai so che morirò così, ingenuo come bambino...
(foto mia, Umbria, marzo 2017)
giovedì 23 febbraio 2017
23 febbraio 2007
La domenica sera, dopo averli ammorbati per bene - in fondo qualcuna diceva (bene) che i pesi condivisi pesano meno - riuscii a risalire in macchina a fare il viaggio di rientro a casa. Un viaggio drammatico, ne ho un ricordo fortunatamente abbastanza vago.
Il lunedì al lavoro da me si festeggiava un pensionamento, a pranzo. Ricordo invece bene, qui, che ebbi un momento di profondissimo e assoluto vuoto, un senso di morte profonda sentendomi assolutamente estraneo alla confusione circostante, lontano dalla realtà, per diversi minuti credo di non aver avuto cognizione di chi ero e dove e perché. Non amnesia, questa l'ho conosciuta di recente. Era altro, indefinibile. Poi a casa ebbi una telefonata col mio angelo custode primario, Attilio. Ricordo solo alcune sue parole: "Paolì, fai qualcosa che ci stai rimettendo la testa". Sì, stavo un pezzo avanti, davvero. Fu un attimo: come sempre le cose importanti, le decisioni vitali balenano e si affermano all'istante, magari dopo tanto tentennare.
Da tempo accarezzavo l'idea, anzi il sogno, di partire per Santiago de Compostela. Devastato dentro, erano oramai diciotto mesi che dormivo una media di tre ore e mezzo a notte. Forse decisi nella notte, davvero in brevissimo.
Dal momento della decisione accadde il miracolo: cominciai a lavorare al progetto, solo questo nella testa, segretamente. Il resto pareva svanito: non lo era, però stavo concentrato su altro, e fu un bene. Cominciare a studiare orari dei voli, date possibili, tipi di zaino, verificare scarponi, racchette da trekking, torcia, sacco a pelo, cosa portare, cosa evitare, come abbigliarsi, non si finiva mai. Meno male che già esisteva il web: il know-how era alla portata di click. Caricai un vecchio zaino di volumi di enciclopedia per ragazzi, e andai a testare il mio cammino. Andavo in palestra regolarmente, fu tutto relativamente semplice. Poi cominciai a fare acquisti, serviva di tutto, magliette tecniche, giacca a vento, mantella, scarponi in Goretex. Poteva esserci neve (e ce ne fu abbondante), di sicuro pioggia (e fu tantissima). Passai quasi un mese a preparare, e fu l'inizio della salvezza. Presi i biglietti aerei e mi sentii libero.
Ero solo, come sempre e più di sempre, ma il cuore traboccava. (segue...)
Queste cose appena narrate credo di non averle mai descritte ad alcuno, così nel dettaglio. Ma è tempo oramai di dire.
Sono or ora andato a cercare il mio quaderno di viaggio. Non lo toccavo da anni, ma in qualche parte del cervello avevo ben memorizzato in quale angolo delle librerie risiedeva. A colpo sicuro l'ho trovato, alla faccia dei miei neuroni che a volte paiono non parlarsi tra di loro.
Mi sa che da questo quaderno scaturiranno altri post. In fondo, rileggere e con voi condividere dopo dieci anni mi pare un'avventura entusiasmante. Voglio ovviamente condividere la cosa più importante, ovvero la mia esperienza di Dio di quella fase della vita, che pareva l'apoteosi ma non lo era... il meglio doveva e deve ancora venire.
Di questo ringrazio qui, ancora e sempre, la mia sposa.
(Foto mia, Barcelona 2014)
domenica 5 febbraio 2017
Scrivere è...
Quasi tutti i giorni mi dico che devo scrivere, ed ho pure scritto, ma poi non arrivo a chiudere. E invece devo. Se non altro per gli amici (oramai!) che da ogni dove cercano in-separabili su google. Cessato il link dal portale Cittànuova, già da tempo programmato, c'era da presumere un crollo verticale delle visite.
E invece ci sono cose che bloccano il respiro.
Come arrivare qui, stanotte, nel blog, dopo un po' di tempo, e curiosare nelle statistiche: verificare che in-separabili viene cercato e rintracciato tramite google, ma soprattutto vedere, come di recente, visite dalla Cambogia e dal Venezuela, o le tante visite dall'Ucraina, solo per citarne qualcuna.
Mi blocca il respiro e mi costringe a scrivere! Devo riprendere, con più energia di sempre.
Scrivere è credere all'amore, diceva la mia maestra.
Faticoso, doloroso, persino sanguinoso, ma può essere amore, un atto di amore estremo.
Condividere l'opera di Dio, che è comunque all’opera pure in questa vita mia fallace.
Sono tempi di grandi prove.
Un amico da Pescara, nei giorni delle recenti bufere nevose, forse anche effetto della tragedia in corso a Rigopiano, mi diceva del clima apocalittico che stavano vivendo in quei giorni, a cui pure il fiume contribuiva, straripando nella città. E appena fuori, in collina, metri di neve, giorni in cui il sole quasi non si alzava. E il cuore era inevitabilmente cupo.
E poi le notizie dall'Aquila: il terremoto insieme alla neve, tanta, come non si vedeva da anni. Il terremoto ti porterebbe a fuggire fuori, il freddo di costringerebbe a star dentro.
Inconciliabili: che fare?
Pare davvero in atto una sinergia del negativo, uno scatenamento senza precedenti, almeno a memoria di uomo.
Io, nel mio piccolo, qui nell'eremo ho vissuto momenti di grande gelo: terminato (senza preavviso, of course!) il gpl del bombolone, proprio nella fase di peggiore freddo. E son serviti quattro giorni di attesa per averne altro…
Ma l'inverno sta già svanendo, e le giornate cominciano ad allungarsi! Il tempo mi corre veloce, un nuovo lunedì giunge che pare appena terminato, il martedì nemmeno te ne accorgi, poi tutto di corsa, e ricomincia una nuova settimana. Forse appare una fissazione, la mia, ma questa (positiva) sensazione del tempo stringente mi porta a vivere “diverso”.
Ho appena rivisto un vecchio, magistrale film: Oltre il giardino. Un film che è una favola moderna, ironizza ma insegna, diverte e dà lezione di vita. Come non invidiare Chance Giardiniere, che passa per il mondo senza accorgersi, che ha un suo equilibrio (per quanto televisivo!), che è inscalfibile agli eventi a lui esterni, che "è", a prescindere da tutto?
Sto vivendo una fase di profonda sospensione, rendendomi conto di dover relativizzare tutto. Mica facile, per me: sto sempre dentro le realtà che vivo, in maniera a volte pure importante.
Giardiniere, ove sei?!
Ma forse no, preferisco questa mia coscienza dentro le cose.
Certo, il dolore ci sta, si tange, ma...
Una cara amica ha subìto un grave incidente. Mi narra di un suo sogno di stanotte.
Un padre, dall’alto di una scogliera, lancia due figli… il primo finisce in mare, sta immobile nell’acqua, poi prende a muoversi, nuota abilmente. Il secondo, più piccolo ancora… finisce in una piccola piscina. Poi il risveglio.
Toh! i talenti di evangelica memoria!? e chi ne parla più? solo un sogno, oramai?
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