giovedì 24 maggio 2012

Incommensurabili

Scusate il ritardo. Da giorni vorrei pubblicare ma poi non riesco.
Sono reduce da un’esperienza importante, un poco anomala e proprio bellissima.
Ho trascorso un week end, quarantotto ore piene, con amici di antica data, in un bel casale di montagna qui in Umbria. Persone che non vedevo magari da anni, alcune che tra loro non si conoscevano. Altre che si son ritrovate con indicibile gioia. Chi arrivava, chi partiva. Un “convenire” al buio: nessuno sapeva chi avrebbe trovato.

Sono accadute cose che hanno superato le più belle aspettative che potevo pur avere. Il tempo è parso fermarsi e dilatarsi, ne ho completamente smarrita la cognizione. Non il fare, ma l’essere, finalmente.
Qualcosa di incredibile, di nuovo e di antico è accaduto. Il Cielo. Abbiamo toccato, ancora, che l’Amore è. È possibile, è vero. Due o più.
Realtà che conoscevamo già. Ma questi momenti di convergenza sono cosa buona e forse pure necessaria, di questi tempi.
Nulla abbiamo fatto di particolare, anzi il maggior tempo trascorso in cucina, intorno al nostro grande Massimo, cuoco provetto.
Proprio nei giorni precedenti con un’amica si parlava del paradiso, e lei mi faceva presente che un conto è sentirne parlare, altro viverlo personalmente, il paradiso…

Poi, giunti al termine e partito per ultimo, mentre lentamente, sotto la pioggia, scendevo dal nostro piccolo “Tabor”, e non ne avevo proprio voglia, mi rendevo conto che nulla sarebbe stato più come prima, nulla. Una pietra miliare nel cuore.
Son rientrato all’eremo che non mi reggevo in piedi dalla stanchezza. Ma anche, dal vedere e vivere tutto con nuovi occhi, come rientrato da altri mondi…

Thomas Stearns Eliot pare averlo scritto per me, oggi:
Noi non smetteremo di esplorare.
E la fine di tutto il nostro esplorare sarà arrivare là dove siamo partiti.
E scoprire quel luogo per la prima volta.


Poi per giorni ho quasi faticato a tornare al vortice della vita “normale”.

Ho incontrato una vecchia conoscente. Lei sa che mia moglie ha divorziato, che sono solo. Mi scruta attentamente, dice che mi trova bene, mi vede tutto arzillo, e chiede se sto con qualcuna. Dico no, sono sposato, per cui solo come sa. La vedo incredula, ma posso solo confermare. Certo che mi trova bene, ma non è la presenza di un’altra donna.

Un’amica, anche lei abbandonata, mi scrive: “Sto vivendo veramente un incubo perché mio marito me le fa vedere di tutti i colori” e poi: “…la cosa tristissima è il vedere tutte le famiglie unite mentre noi da soli senza papy” e ancora: “sto rileggendo le pubblicazioni sul tuo blog: mi fai compagnia spesso!”.

È che la vita non è mai uguale, e ti pare di vivere in un vortice molto oltre le tue possibilità.
Il Tabor svanisce, e altro accade.
Momenti di stanchezza grande, forse anche questa primavera strana, piove di continuo. E poi la solitudine, migliaia di notti da solo, e sai che “la morte è già qui, poco prima”, come dice il poeta.

E invece continui a credere, a dire, a fare, a dare, a pensare, a volere.
Il cuore del tuo cuore altrove, il tuo corpo dilaniato, tutti sparsi per il mondo.
Essere nulla, e nulla sapere più. E tutto sogni, speri, credi, copri, ami. La carità?
Ma è follia, ti dicono! La norma, la norma è altro: la tua sposa se ne va? Meglio: sai quante donne puoi trovare, ancora, prima che la vita svanisca? Piuttosto: spicciati!

Il sole sta tramontando, ancora una volta, in cielo una luce incredibile, e sei solo.
Un profumo indicibile nell’aria, l’estate che quasi esplode, e sei solo.
Fai due somme: abissi e gioie incommensurabili. Chi sei Padre? Chi sono io per tutto questo?
Ti rendi conto di essere davvero “out”, fuori norma. Ma deve essere la fede. Sì, la fede. Fede in un Dio che sai e a volte non tocchi, specie in certi momenti in cui il cuore abbaia alla luna, il sangue si confonde con quello dell’umanità, il dolore non sai più come dirlo. Solamente il silenzio perdura.

Fai un’altra telefonata, nasce dall’amore, gesto piccolo e forse insignificante. Cuci, unisci altrui vite, rammendi lontane storie. È il cuore di Dio, alfine, che permea la terra attraverso te, le tue vene dissanguate che facilitano un rapido benefico passaggio. Sei canale.
Beh, mica poco, se ci rifletti bene.

(Foto mia, Umbria, maggio 2012)