mercoledì 29 giugno 2011

Un corpo, un'anima sola

Liturgia del Corpus Domini: bellissimo, Mosè che pare parlare proprio a me: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore…”.
Sono stati “appena” venti i miei anni di deserto, fortunatamente. Ma ricordo bene e son qui a scriverne anche per questo motivo.

Diverso tempo fa, parlando con un’amica molto religiosa, col mio inguaribile spirito critico notavo che spesso si dicono tante parole in più, durante la messa. E lei mi apostrofò duramente: “Ma insomma, non puoi passare un’ora con nostro Signore?”. Dovetti farle presente che mi riferivo a messe feriali, ma soprattutto che ogni giorno passavo ventiquattrore con nostro Signore. Essì, ventiquattro ore. La notte in modo speciale. Sono oramai quasi otto anni che dormo solo, e per uno sposato credente anche dormire solo è dire che Dio è vero. Oltretutto: col tempo che inesorabile scorre.

Tanti dormono soli. Religiosi, single, vedove. Ma lo sposato che permane nella solitudine, specie notturna, per amore a Dio e al coniuge, in Dio, dice che Dio è vero col suo solo vivere. Quasi consacrato, quasi suora di clausura. Non esiste altro motivo al mondo per rimanere in questo stato. Fede in Dio, ma anche fiducia nel coniuge.
Confesso che in qualche modo sono avvantaggiato: so chi ho sposato. Una creatura meravigliosa, che risposerei ancora e sempre. L’altra metà del mio cielo. Conosco il suo progetto, il sogno di Dio su di lei e su di noi, in qualche modo.

La conoscenza, la sola vera: quella in Dio. Quando hai conosciuto davvero, può accadere tutto, ma conosci la vera personalità, conosci il piano di Dio sull’altro. Poi magari tutto dice il contrario, ma non conta. L’uomo e la donna tutto possono, nella libertà che Dio dona loro. Ma solo il disegno eterno dura.

Un po’ come il popolo eletto che ha vagato nel deserto per quaranta anni con nuovi dei, serpenti, vitelli d’oro. Nel dolore più grande: la perdita di Dio.
E quindi: il sogno, il bisogno di Dio. Insopprimibile. In ogni umano, ma specie in chi ne ha fatto esperienza.

“Signore, fai di noi un corpo, un’anima sola” canta stupenda una canzone. L’esigenza profonda dell’umanità, che il separato, col corpo sventrato, più di chiunque conosce e soffre.
Un grande Ungaretti recita: “Il mio supplizio è quando non mi credo in armonia”.
Il fine dell’uomo, quel che solo rende felici: nell’Uno.
Uno il cuore, uno il corpo, una l’anima.

(foto mia, Umbria, estate 2007)

giovedì 16 giugno 2011

Luna piena, con eclisse

Siamo a cena in sei, una cena importante. C’è pure il nipotino tirabaci: bello, coccoloso, garbato.
Una bella serata, si termina tardi. Nel cielo una luna quasi piena, ancora parzialmente oscurata. Dice che c’era eclisse di luna, poco fa. E noi si era impegnati in una cena, con un avvenimento così raro in cielo!

La luna, capace di smuovere i mari da lissù, mi accompagna poi nel ritorno a casa, è mezzanotte. Sta lì, anomala. Come la serata.
Penso a mio padre, alle nostre discussioni. Io, giovane razionalista, non potevo assolutamente non contestare il suo seminare e raccogliere, il suo tramutare il vino secondo i periodi lunari. Da pensionato aveva tirato sù il suo bravo orticello e si atteneva alla tradizione. E io contestavo: mi era impossibile concepire tanto potere in un lontano corpo celeste.

Invece poi col tempo ho dovuto ammettere. Il potere della luna, ma pure tante altre cose. Come ad esempio: quanto può il cuore di una donna, nel bene e nel male. Forse più della luna.

Una serata anomala, ma era la luna certamente che pilotava.
Rendersi conto che vivi realtà estreme. E che Dio ti chiede e ti offre sempre di più. Pazzesco. Il cuore di Dio, che quando lo tocchi, magari un po’ lo vivi, ti lascia stordito quasi. Il cuore di Dio. Quel cuore che ha una splendida spiegazione nella parabola del “figliol prodigo”. In questi anni ho riletto, meditato, vissuto quella storia. Anomala anch’essa. Sono io il figliol prodigo, certamente e forse sono ora un po’ pure il Padre. Quel Padre che sale tutti i giorni sulla torre e attende la persona amata, quella carne della sua carne che a stento sopravvive lontano.
Attende e ama. E più attende e più ama. E più ama, più attende. Un gioco d’amore senza fine. A braccia aperte, senza recriminare: accoglie, prepara il più grande banchetto.

Questo il cuore di Dio, che nel donare la libertà all’uomo sapeva di fare una follia, una follia d’amore. Ma che amore era, senza la libertà persino di sbagliare? In fondo sarebbe da rileggere pure la Genesi, la creazione, sotto questa ottica. Non sono teologo, quel poco che capisco mi nasce dalla vita. Ma certo: è l’una di notte, e non c’è motivo razionale che io stia qui a scrivere, per voi, con voi, ma soprattutto in me, col Padre, i moti del cuore in questa serata, anomala.
Solo testimonianza all’Amore, non altro.

Sono accadute cose anomale, stanotte. Il mio cuore che piangeva e godeva. Che comunque amava. Il plus di Dio, del suo gioco, del suo amare dalla torre.
Quando poi torno trovo un sms di Giusy, amica carissima, che sapeva della serata: “Ti ho pensato MOLTO! tvb. 1”

L’amore è pure circolare, oltretutto.

(foto mia, maggio 2011)

venerdì 3 giugno 2011

La rara felicità

Da giorni e giorni avrei da scrivere ancora, qui sul blog. Ho tanti spunti, forse troppi, non trovo concentrazione. Ci penso, ci giro intorno, ho pure scritto, ma poi ho bloccato tutto. Ho imparato che non serve scrivere "necessariamente". Si può fare e dire e scrivere di tutto. Ma solo poche cose contano, poi. E non posso e non voglio essere “cembalo sonante”. Scrivo me, di me, con voi: quasi diario dell’esistenza, pubblico, condiviso. Devo essere io, da cima a fondo. Lo sono sempre, ma qui forse ancor più. Io e Dio e il suo gioco d'amore. E solo poi posso condividere.

Tra l'altro, ho un brivido nel constatare da dove mi si legge: Emirati Arabi Uniti, Costa Rica, Singapore, tanti Stati Uniti, Federazione Russa, solo per citare i meno vicini degli ultimi giorni.

Di recente tanto vento del sud che porta, fatto rarissimo in Umbria, aria quasi marina. E penso a tre anni fa, era giugno. Mi chiamano dalla Sicilia, erano in vacanza a san Vito lo Capo: “Devi venire giù, troppo bello. Prendi il primo aereo!” Non ho grande voglia di muovermi, ma poi vinco la mia stanchezza soprattutto per farli contenti. Arrivo a Punta Raisi a metà giornata, caldissimo. Finalmente la Sicilia, sognata da anni, ma in ben altre situazioni. Ho tanti amici siciliani, e sento fortissimo il legame con questa terra ancora sconosciuta. Sono atteso all’aeroporto, si va subito al mare, la Riserva dello Zingaro. Si cammina tanto, nel sole, in orario torrido, col mare sotto. Sono stanco, senza fiato, si suda, ma è una meraviglia: poco fa ero a Roma!
Accade l’imprevedibile. Di botto una sensazione stupenda: come di sentire il profumo di Dio. Inebriante, non capisco cosa sia, da dove venga. Manco saprei descriverlo più. Si può definire un profumo? Eppoi, di Dio? Eppure la sensazione era nitida. Certamente il posto eccezionale, ma soprattutto: lì tutto nasceva da una circolazione d'amore.

Sere fa, con amici con cui in qualche modo si condivide la “famiglia”, quella più ampia della famiglia naturale. Si stanno definendo diverse cose pratiche da programmare e si è pure fatto tardi. Ad un certo punto dico qualcosa che crea silenzio assoluto. Trovo immediate risonanze. Al mio parlare, nell’amore, mi corrisponde una reazione analoga.

E dire che recentemente ho rischiato di cadere in una trappola, di scendere al “piano sotto”, al livello dell’infelicità.
Mi son trovato a subire astio. E la reazione primaria pareva esser quella di ricambiare. D’altronde: se ti si aggredisce solo perché esisti, come reagire? Ma c’era qualcosa che non mi lasciava limpido, era come un momento di nebbia fitta, in cui ti fermi ché non sai più dove sta la strada. Forte è stata la tentazione di scendere al piano sotto, e ricambiare. Ma troppe volte mi è accaduto oramai, in tanti anni: so bene che non paga.
E infatti la “rara felicità”, come direbbe Ungaretti, è altrove.
Riuscire a vedere e trattare tutti, sempre e comunque, con gli occhi e il cuore del Padre, per quanto in tuo potere. Rimanendo al piano sopra.
Chi ama regna: è vero.

(foto mia, Sicilia 2008)