giovedì 20 novembre 2014

Ad Anna...

Mi scrive Anna, qui sul blog:
Ciao Paolo è passato un mese dal tuo ultimo scritto che mi sono riletta ora. 
"cosa c’entro io che mi sarei contentato di una modesta esistenza?" scrivi ad un certo punto e io penso a me che invece ho una buona esistenza ma inseguo da sempre sogni di alta gloria. 
Che dirti? Sei un dono per me in ciò che scrivi, che percepisco vero, vissuto e reale. 
Ma sono convinta: un dono anche per tanti altri. 
Scrivi ancora, ti prego, donaci la tua vita vera. 
Per andare avanti insieme e non farci travolgere............ 
Ti abbraccio! Anna 

Hai ragione, mia cara Anna. Mi hai commosso, e certo è tempo di riconcentrarsi qui e scrivere, ne ho tanto: giunto al termine, forse, di un periodo intensissimo in cui su altro ho dovuto concentrami. E lo scrivere del blog indietro è rimasto.

Di recente ho partecipato alla commemorazione, nel giorno della sua nascita, di una giovane deceduta un ventennio fa. Una giovane da poco proclamata beata dalla Chiesa Cattolica. Chiara Luce Badano, che a 18 anni e in breve tempo, con un tumore osseo, ha terminato la sua breve e intensissima vita con Dio nel cuore.
Conosco tante persone che ai loro 18 anni, molto probabilmente, in situazione analoga, avrebbero vissuto uguale. Persone che invece oggi paiono altrove… ma credo davvero che ognuno di noi abbia la sua storia, il suo progetto da realizzare. Nessuno può sapere quello che Dio prevede, o comunque permette, di grande e di amore in ogni essere in terra. Anche, e specie, quando tutto appare perduto e impossibile oramai. Direi quasi, ancora, del Figliol Prodigo: perché io pure questo mi sento, e sono. 

Un’amica separata da tanti anni proprio oggi mi ha chiesto con molto affetto perché sono così matto, perché sono fedele a mia moglie, ancora. Se sono tuttora innamorato… ma come spiegare la dinamica: dall’innamoramento nasce l’amore, e dall’amore nasce l’innamoramento? Un circolo virtuoso, finalmente! Credo sia il circolo di Dio, che sta innamorato dell’uomo perché lo ama, non perché l’uomo sia oggettivamente amabile, anzi… lo diviene, amabile, ma è il suo cuore che lo genera!

Negli scorsi giorni ho casualmente incontrato una cara amica al supermercato. Mi parla della sua vita, in cui mi ritrovo appieno, narrandomi come vive il dolore di questa parte di esistenza. Questo dolore che ti costringe a crescere. Sì, i conti tornano, lo sapevo da tempo.
Ci sono giorni in cui il cuore è implosivo, la solitudine e il nulla pressano e avanzano e si arriva all’esatta percezione che tutto è l’esatto contrario di quanto appare, che qui anche è la presenza di Dio: in questa purificazione in cui vivi, in un equilibrio sempre nuovo, impensabile incredibile indicibile. Perché la verità è che il saper stare solo alla fine mi è solo Dio. Perché veramente Lui solo c’è e tutto il resto non conta, e tutto il resto passa e tutto il resto è già passato.
Per cui è solo esperienza di Dio che cresce, seppur nel dolore del corpo mutilato. Mi risuona dentro: “Vegliate e pregate, che lo spirito è pronto ma la carne debole”: ecco, la mia carne debole e maciullata, in cui vivo e debbo vivere.

Ma dall’altra parte ci sta la serenità e pure la felicità di fare le cose giuste - seppur troppo spesso sbagliandole -, anche se tanti paiono discuterne e non capire. Ma poco conta se sai che ciò è proprio quanto Dio vuole, o comunque permette: la tua vita su questa terra, oggi, in cui mai e poi mai avresti immaginato tali abissi e altitudini, deserti e solitudini e che soprattutto ci saresti stato dentro, sino in fondo.

Ecco, Anna cara, eccola la mia vita vera di questo periodo: aspra, forse meno semplice del solito. Perché sempre più la sensazione delle mie incapacità si trasforma in certezza. E nonostante lo sappia bene e da tempo, ogni volta devo rifare i conti col mio ego – ne è rimasto poco, ma attivissimo.
La vita vera è questa qui, stasera, sapendo di essere inadeguato, forse non capito, patetico persino per qualcuno. Stasera: riuscire a scrivere, finalmente, a te e per te, che magari è cosa buona…

(foto mia, Umbria, 2009)

sabato 27 settembre 2014

L'evento centrale

Scusate il ritardo!
Qualcuno di voi che mi legge – forse dovrei dire con Manzoni, “i miei venticinque lettori”- si sarà chiesto che fine ho fatto. Ancora non sono finito, anche se tutte le sere sono sfinito.
Ho scritto tanto in questa mia latenza, ma poi manca il momento clou della chiusura. Dedito ad altro, diverso da questo blog, ma forse importante.

Quando sei giovane – esperienza mia e di tanti – offri a Dio la tua vita, sei pronto a tutto, generoso. Hai davanti solo i massimi sistemi, non immagini le tante pochezze che ti toccheranno, le miserie dei momenti inutili – se non dannosi – in cui inevitabilmente vivrai. Hai solo il cuore grande, dilatato sul sogno. E il sogno di Dio è il più grande, è l’impossibile.

E oggi, con i sessant’anni che non mi sembrano veri, col sentirmi bimbo coi miei nipotini, più pazzariello di loro, arrivo a dire che mai avrei potuto minimamente immaginare che Dio mi avrebbe chiesto sino a questo punto. È tanto, troppo, non sono all’altezza, cosa c’entro io che mi sarei contentato di una modesta esistenza?
Eppure, guardo indietro e vedo una scia di luce che mi ha condotto. A volte pare interrotta. Pare, ma poi riprende, e sembra ancor più lucente.

Ho passato una estate bella. Il culmine: la fuggevole visita di una coppia di antichi e più che carissimi amici, nel pieno del ferragosto. Non ti senti e non ti vedi per decenni… e poi ti ritrovi e stai in cielo. Il tempo pare fermo.
Poi i festeggiamenti dei trent’anni di mia figlia (ah, come invece è vero che il tempo passa…. meno male che è galantuomo!).
Poi tanto altro, stare male un intero week end con coliche e febbre in piena assoluta solitudine, e col frigorifero praticamente vuoto. Ma qualcosa ci si inventa sempre, e soprattutto: tutto diviene occasione per rimettere il cuore a posto, ricentrare tutto sul solo che davvero conta.

E come non arrivare a dirmi, e quindi dire, che la mia esistenza - che ripeto: non cambierei con nessuno al mondo - in tutti gli accadimenti pur impensabili e dolorosi, ha un evento centrale, da cui tutto poi discende e promana.
Ed è quel fatidico giorno del matrimonio, in cui ho messo la mia esistenza nelle mani della mia sposa. Una sconosciuta, a cui affidavo il mio futuro, una creatura tutta da scoprire che diveniva la presenza primaria di Dio nella mia vita, la presenza portante, quella che mi avrebbe dato la gioia e il dolore, la salute e la malattia. Il matrimonio cristiano, vedo oggi, in cui lei diviene Dio, il "mio Dio" su misura per me. Nulla capisco di teologia, ma direi che questo è il Sacramento, questo porta a vivere già “come in Cielo così in terra”.
Come l’evento centrale della storia dell’umanità, vista da cristiano, storia cristocentrica, quando Cristo sposa l’umanità venendo in terra.

Sono martoriato da inviti - pressanti, intelligenti, amorevoli e persino silenti - a dimenticare la mia sposa. Qualcuno mi dice che soffro troppo. Direi di no, non troppo, ma nemmeno poco: soffro il giusto. E certo so di essere sempre più fragile. Perché il tempo passa, l’estate bella è già finita e nell’aria l’autunno preme potente.
Se non fosse che la vita è una ed ha un senso solo vissuta facendo le cose giuste, almeno quel poco possibile coi miei tanti limiti, sarebbe da fare come vedo in alcune situazioni. Comportamenti da fine Impero Romano, quando si presagivano le invasioni e si viveva dediti ad un “carpe diem” senza più dignità.
Debbo dire che il peso del tempo che passa, pure amplificato dalla solitudine, in qualche modo mi è leggero.
Perché il dolore cresce, insieme alla stanchezza, giorno dopo giorno.
Ma, onestamente, direi che cresce anche altro. Che è poi quel che più conta.

(foto mia, Umbria 2012)

giovedì 31 luglio 2014

Santa Maria di Collemaggio

Sono a fare insolite vacanze.
Mancavo da tanti anni, qui, solo, nella casa che mi ha visto nascere.
Dopo la partenza di mamma, e oramai son quasi venti anni, le vicissitudini coniugali sempre più intrecciate, i figli che crescono e giustamente guardano altrove, mai era accaduto. Tante volte, ma sempre di corsa o comunque con i ragazzi.
Invece ora, quasi spinto da un bisogno inconsapevole, son qui, per tanti giorni e solo. Un nuovo equilibrio, ancora, urge.
Le motivazioni ci sono, e valide: questa casa necessita di una infinità di lavori di manutenzione “ordinaria” che sono sempre in arretrato.
In parecchi mi hanno dato del matto, che stavo qui solo e per tanto tempo. E poi già vivo tutto l’anno in campagna, nel mio eremo, nel mio consueto “silenzio e solitudine”!

Ma venire qui è stato affrontare ancor più l’ignoto, nel fondo, ritrovare le radici estreme. Qui il silenzio - specie notturno - è assoluto davvero, e sono dentro un paese. Il cielo è stracolmo di stelle ancor più, si toccano. Le mura sanno di mio padre, tutto sa di lui, come di mamma la cucina.
Il tempo si è fermato, e so che, quando sarà, debbo lasciare ai miei figli situazioni non ingarbugliate. Ci debbo lavorare, sto molto indietro.

Ho con me tanta musica lirica, alcuni film di Bergman, diversi libri. Tra questi un Montalbano terminato rapidamente, ed uno regalatomi dai miei amici Anna Maria e Berardo ai sessantanni dicendomi “In questa nuova stagione solo il presente ha valore, ed in ogni presente rimane solo quanto siamo capaci d’amare!”.

È un libro che solo ora apro e, guarda caso, parla proprio di me, oggi. Enzo Bianchi, dal suo monastero di Bose, dal suo eremo sempre così affollato, che invita a guardare “dentro”!
Ma era proprio quello che mi spingeva, evidente, ed era ciò che sentivo, vago forse, già scrivendo il precedente post.
In questa fase della vita, in cui sempre più vado dentro, mi trovo poi a proiettare fuori tanto, ovvero anche a scrivere, a proposito e forse pure eccessivo a volte, ma che comunque e sempre nasce dal bisogno di Verità.
Pare un disegno che si dispiega. Si farebbe prima a parlare, preferirei di molto. Ma con chi? La mia interfaccia naturale, la parte di me più bella, la mia sposa, non c’è.
Sono solo, scrivo. Molto faticoso e a volte doloroso, lo scrivere, credo sia esperienza comune in chi scrittore non è, come me. Però ineludibile a volte, specie quando accadono cose che ti interpellano da vicino.

Un esempio, la richiesta reiteratami da parte di una tale "RAI" che mi chiede di pagare un canone per una cosa che non conosco, non possiedo, detesto. Ovvero la televisione. Son stato costretto a scrivere, mio malgrado, una lettera per esternare la mia ripugnanza al loro arrogante assioma: “esisti, quindi hai il televisore”. Chissà se proprio non arrivano a capire, o fingono, che possa esistere gente libera, liberata dalla loro televisione?

Sono andato alla basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila.
Una delle meraviglie del mondo e molto poco conosciuta. C’è sepolto Celestino V, ci sta una delle poche Porte sante esistenti fuori la città di Roma.
Era chiusa, e con me tanti visitatori delusi. Pare abbia delle colonne pericolanti. Qui i lavori del dopo-terremoto sono molto indietro, come in tutta la città. Si è costruito (troppo e male: dà dolore vedere case viola quasi si fosse a Burano piuttosto che in pieno Appennino) fuori dalla città, cattedrali nei deserti, e si è lasciata morta una città stupenda. E pensare che trecento anni fa, dopo un analogo terremoto, e regnavano i famigerati Borboni, la città presto tornò alla sua antica bellezza.

Poi ho avuto invece una specie di grazia. Mi son trovato dentro una chiesa nuova, bella, accogliente, umana. Un giovane prete che era lo specchio della chiesa.
Ad una parete questo quadro.
C’è tutto, pure la mia vita. Maria presente, che tutto com-prende, nella notte del male.

(foto mia - L'Aquila, chiesa dei Santi Mario e Marta - coniugi e martiri) 

mercoledì 2 luglio 2014

Abbà, Padre!

Sono in discreto ritardo sui miei programmi, in tutto, non solo nello scrivere come e quanto vorrei. Il mondo mi si è fermato più volte, in questi giorni, e ancora si fermerà. Una sensazione strana, anomala.

Sabato notte, dopo una grigliata di carne con le mie figlie, sono andato in cerca di una tabaccheria per ricomprare Toscani Garibaldi, dopo circa una dozzina d’anni che ho smesso di fumarne. Poi uno me lo son fumato in terrazza, al fresco e al buio, contemplando l'indicibile mare di stelle di giugno. Qui sotto casa tantissime lucciole in volo e rane che gracidavano: tutti maschi in cerca di accoppiamento.

Non so cosa stia accadendo.
Sarà questa guerra a cui mi preparo (ancora non dichiarata fuori, ma poco manca) in difesa del matrimonio, sarà che non ne posso più delle cose approssimate, della vita che urge e vola, delle sere solitarie. Son diverse notti che quasi non dormo, il tempo fugacissimo, ed io sto diventando un baccaglione insopportabile, ma altro non posso, né debbo.
Devo dire e fare la Verità, almeno per quanto mi risulta. Non posso tacere più.
Stamani sono andato a cercare una persona che avevo mal-trattato (avendo comunque io delle valide motivazioni) per chiedergli scusa. C’è stato un ciack. Tutto cambiato, un rapporto nuovo.

Di recente la mia amica Anna, dicendo che partiva in vacanza col marito, ha affermato che non poteva immaginare le mie vacanze (mie e dei separati “soli”), che vacanze di riposo non sono. È vero. In questo squarcio di vita sento molta stanchezza sulle spalle, forse troppa.
Mi lamento, eppure ho tanti amici molto provati dall’esistenza. Talmente provati da non più riuscire a dire “Abbà Padre!”. E dinanzi a loro mi scopro inerme e senza parole più.

Non so come sarà il tempo che mi resta. Ma vorrei viverlo nel solo presente.

Ci sono sere che è meglio non guardare il cielo 
Troppa è la “tramontosa” luce che tutto inonda 
Troppa la brezza che evoca paradisi impossibili 
Troppo è il grano che cresce e cresce e cresce 
Troppo è nell’aere il profumo del cielo 
Troppo è lo sbando del cuore a tutto questo 

Alla nostalgia 

Al sogno della sposa 
Al sogno della sposa in Dio 
Al sogno di Dio tra gli sposi 
Al Cielo di un tempo 
conosciuto e dimenticato e superato
Al Cielo del tempo futuro 
sconosciuto e inimmaginabile e forse troppo e forse impossibile...

(foto mia, Dolomiti 1979)

lunedì 16 giugno 2014

Eroe o vittima?

Estate 1980.
Eravamo due innamorati impossibilitati ad una vacanza ensamble.
Lei partì per le Dolomiti con delle amiche.
Io alla fine accettai l’invito di amici e feci un lungo viaggio sino a Barcelona. In sei, con un furgone ed una macchina. Un viaggio avventuroso. E doloroso per una separazione non voluta.

Ricordo nitida una telefonata in Italia da un bar di Sitges, forse. Dopo un paio di settimane senza comunicazione alcuna.
C’era una piazza assolata, calda, il cuore alle stelle. Parole poche, sintetiche, timide, colme.
E la fretta di tornare in Italia, e finalmente rivederla.

Fu una grande bella vacanza. Una fase molto creativa per la mia fotografia. E tanti aneddoti da raccontare. Dal caffè fatto per sbaglio con l’acqua salata di una fontanella sul mare al trovarsi nel mezzo di un accoltellamento nel centro di Marsiglia. Alle pastasciutte cotte sui marciapiedi di un qualche parco cittadino, alle tantissime risate - ci si voleva bene davvero!

Uno di noi, studente di architettura appassionato, doveva assolutamente arrivare sino a Barcelona. C’era da vedere cose di un tale Gaudì. Ci condusse recalcitranti ad un parco - Parc Guell – e ci illustrò le grandezze… di un parco fatto con spezzoni di piastrelle, tutta roba di recupero, strana, anomala. Scoppiammo in infinite risate e lo prendemmo in giro per tutto il viaggio di ritorno. Sino in Spagna per vedere quelle cose?

Tanto tempo è passato. Il nostro amico è partito presto. Aveva un appuntamento in Cielo prima del nostro tempo. Forse aveva corso già tanto. Stava avanti da sempre.

Io son tornato a Barcelona negli scorsi giorni anche pensando a lui. Ci sta la mia piccola, architetto pure lei, per un lavoro temporaneo.

Barcelona è una città incredibile. Siamo andati al Parc Guell, e vi abbiamo mangiato panini con birra sul calar del sole. Ho respirato in parte l’aria di trentaquattro anni fa. Sempre senza la mia sposa, seppur molto diverso. Questa vita mi sta passando. Va bene. Non la cambierei né la cambierò con alcuno.

Al mio compleanno mi ha scritto un vecchio amico, provocatoriamente.
Ai sessanta si possono e debbono fare bilanci. Chiede: “Come ti senti, eroe o vittima?” 

Eroe proprio no, sono ben lontano.
Ma nemmeno vittima, che oltretutto vedo attorno a me tante realtà molto molto più dolorose della mia.

Mi sento come uno che fa quel che deve, semplicemente.
Che finalmente ha un po’ capito cosa deve. E si impegna a farlo, pur nei suoi limiti.

Certo, mi sento anche un miracolato che poi fa miracoli continui.
Perché dare fiducia, continuare a vedere il disegno di Dio sul proprio matrimonio dopo quattromila notti che dormi solo è un miracolo: non sono certo io, Paolo, non mi riconosco proprio…

Mi sento come uno che sta sul Golgota, nell’ora nona… come bene dipinge Igino Giordani:
“Bisogna stare davanti a lui, e quindi di fronte all’umanità che si ricapitola in lui, come Maria, la quale, mentre dintorno le folle irridono, contempla, senza crollare, il suo figlio unico, il figlio senza pari, che si strazia dissanguandosi. Ella non fugge, né sviene, per non lasciarlo solo: si fa attivamente una con lui. Ritte e ferme contro la tempesta, nell’ora decisiva, non stettero che Maria e la croce…”
Nell’ora decisiva, contro la tempesta: Maria e la croce.

(foto mia - Barcelona, giugno 2014 - Parc Guell e La Sagrada Familia)

domenica 11 maggio 2014

Sessanta e poi trentatré!

Nello scorso post ho fatto qualche accenno al mio tempo in terra.
Ed ora vengo a parlarne ancora… ebbene sì, forse si intuisce già dal titolo: siamo giunti ai sessanta anni.
Ai miei quaranta avevo preparato pure gli inviti, era una bella occasione per rivedere tanti amici: mi fu impossibile.
Ai cinquanta si festeggiò in famiglia con pranzo all’Isola Maggiore, al Lago Trasimeno. E nemmeno fu facile.
Ai sessanta avevo in animo di organizzare una bella festa. Tante idee, ma poi ho dovuto fare i conti col tempo, con l’ospedale, la convalescenza. Insomma, alla fine nulla in programma. Ma tutto senza ansie particolari, in fondo era un giorno come un altro, specie nel conto dell’eternità.
Invece il sabato sera mi son trovato dentro un “compleanno a sorpresa”, in una pizzeria in città. Mia figlia tornata appositamente dalla Spagna (!!!), mio fratello venuto dal nord con la famiglia. Bravissimi, mi son detto, una bella sorpresa, una bella festa!

Poi la domenica mi dicono: allora è bel tempo, si va a fare un po’ di turismo? Bene, cerco sulla guida del Touring qualcosa che ancora non conosciamo. Appuntamento alla Madonna del bagno (che sempre ritorna!).
Dai, spicciamoci che è tardi… Beh, arrivo lì e mi trovo, nascoste per bene dentro un salone già apparecchiato per il pranzo, una infinità di persone convenute per festeggiarmi! Alcuni da vicinissimo, altri da lontano: Friuli, Abruzzo, Roma, Castelli romani. E tanti altri hanno cominciato a telefonare, a scrivere (un grazie, ancora, a tutti, davvero!). Moltissimi assenti “giustificati” per impegni più grandi di me (e meno male!).
Qualcuno si aspettava una mia commozione che non c’è stata, immediata. Ridendo ho detto che le lacrime le ho esaurite, ma la verità è che in questi anni vivo praticamente dentro una commozione quasi perenne.

Una bella messa e poi un vero banchetto, organizzato alla grande in forme familiari con tantissime cose, porchetta, Recioto e una magnifica torta opera della mia consuocera. Solo poi saprò che tanti hanno contribuito, pure qualche insospettabile (un grazie immenso... e pure a mia nuora che dall'Estremo Oriente ha preparato il video della mia vita... e specie a mia figlia e al marito che, con bue bambini piccoli da gestire e me in casa loro per dieci giorni in convalescenza, son riusciti a tessere e tirare le fila del tutto senza farmi intuire nulla!!!)

A quel punto, a messa ho fatto una specie di omelia pure io. Laica, ma sul filo. Il cuore era la cosa che più sentivo. Il cuore mio, che palpitava forte - un principio di eternità (sarà così il paradiso? che convengono tutti da ogni dove ogni giorno a festeggiarti, e tu pure fai per tutti, uguale?) - ma pure quello che aveva portato lì tutte quelle persone da lontano, qualcuno anche nel tempo. Il cuore che salva (salva l’altro ma specie te che lo usi!), il cuore che ama “oltre”, come il cuore di Dio che non è ragioniere.

Non è ragioniere come noi che, specie quando facendo un banale due più due, diciamo che un matrimonio termina perché uno dei due si distrae, oppure ha una malattia. Ma non erano queste le promesse fatte un giorno: “prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”… Era già tutto previsto: perché quindi non rispettare gli impegni?

Sessanta gli anni di vita, trentatré gli anni di matrimonio.
Qui invece una giornata normalissima, anche se questo numero mi evoca di continuo realtà particolari. Nessuno si è accorto (sembra) della ricorrenza. O forse non si riesce a dire: "buon anniversario" per un matrimonio che vive una fase dolorosa?
Già a letto, faccio un conto della vita, come spesso accade. Riaccendo la luce, scrivo poche righe sul cellulare:

   E nel silenzio 
   Del cielo 
         E nel silenzio 
         Della terra 
               Ancora il nostro 
               Sì 

Le condivido con qualcuno... Mi risponde un amico che vive realtà assolutamente diverse dalle mie: “Carissimo anche per me tra qualche giorno (il 18) sono 33! Concordo pienamente con le tue parole!”. 
Realtà diverse: ma è solo apparenza, la forma è diversa. La sostanze è sempre quella di Dio, della creatura incamminata sulla Via.

(foto mia, Ciociaria 1978)

mercoledì 7 maggio 2014

Capisco, ma non mi adeguo

Tempo fa scrivevo di sentirmi sotto attacco concentrico. Una sensazione interiore che ritorna. Da più parti, più voci, autorevoli, blande, silenti, possenti. Dentro, un turbinio. Emozioni concentriche che si moltiplicano.
Perché questa follia del rimanere dentro il matrimonio so bene che stona, e che potrei fare "altro". Come fan tutti, o quasi.
Ho coscienza che potrebbe pure essere vero che sto sbagliando tutto, ancora. E poi alla mia età ho imparato che le certezze possono essere un grande male, quindi è bene dare il benvenuto a qualche sano interrogativo.
Avere il cuore tronfio, baldanzoso, è dei giovani, di chi ancora deve vivere e sbattere la testa, quasi direi. Onestamente, oggi ho timore di chi sfoggia certezze, chi sa tutto, chi divide sempre in bianco e nero. Con gli anni, amaramente anche, impari che la vita è ben altro. 

Debbo dire che tanta amarezza non me la sento. Un tempo sì, era un arrovellarsi senza pace, un girare attorno ai tanti errori, impensabili in gioventù. Parti con la vita, almeno per quanto ricordi, che sei pieno di speranze, di luci, di certezze. Poi l'esistenza prende altre direzioni. E ti senti pesi così gravi sulle spalle che rischi di rimanerci sotto.
Conosco persone eccezionali che non riescono più a liberarsi dei propri fardelli e spiccare in volo come nel profondo vorrebbero. Perché se “ti guardi” è inevitabile.

A me accadde che una donna sapiente, con l’esperienza della sua lunga e intensa vita, disse: “Ma se Dio ti ama come sei… tu perché non fai uguale?” E quindi, poi, la sola soluzione: vivere di presente. Svanisce la zavorra del passato, non temi l’incertezza del futuro.

Se oggi dovessi banalmente fare un conto del tempo che ancora mi compete, calcolando un’aspettativa di vita quanto mio padre, sono a tre quarti dell’esistenza. Se calcolo mia madre sono ancora più avanti.
La sola cosa che oggi so è di voler solo vivere delle cose giuste, ogni momento ancora. Certo, le cose giuste non è detto che siano divertenti, facili, subitamente appaganti. Capisco che è molto meno doloroso (anzi, pare “meno doloroso”) applicare i vecchi metodi del “morto un papa se ne fa un altro”, oppure “chiodo scaccia chiodo”.
Tanti anni fa in Italia avevamo un refrain in testa, da una bellissima trasmissione di Renzo Arbore: “Non capisco, ma mi adeguo”.
Io invece capisco, ma non mi adeguo.

(foto mia, Biennale Venezia 2012)

sabato 19 aprile 2014

Sabato santo

Piove di nuovo stamani, ho dovuto alzarmi di corsa dal letto, era presto e me ne stavo tranquillo leggendo del matrimonio cristiano. Ieri era bel tempo, avevo lasciato sul terrazzo una panca di legno in fase di restauro, e quindi esposta alla pioggia. Il tempo pare regredito, abbiamo vissuto giornate di primavera inoltrata, poi è giunta la neve sui monti, il freddo ovunque.
E intanto, in questo ciclo annuale in cui la Chiesa rivive tutti gli avvenimenti del Vangelo, siamo di nuovo all’evento cruciale della storia, in questi tre giorni che hanno cambiato tutto. La morte, la discesa agli inferi, la Resurrezione.

Lo scorso week end sono stato di nuovo male, con il mio malanno “solito”. Sabato in particolare, con febbre e dolori forti, ho solo potuto dormicchiare. Domenica un poco meglio. Lunedì sono poi andato al lavoro con la sensazione di resurrezione, di una nuova vigorosa forza dentro, l’ho pure detto. Dopo questa "morte", lo stare bene - che di solito non si riesce ad apprezzare sino in fondo - mi dà questa gioiosa sensazione di euforica resurrezione, quando torni a poterti muovere, piegare, agire, respirare, starnutire persino.
Questa resurrezione del corpo è evento assolutamente umano e certamente comprensibile a tutti, non necessita una fede per fare esperienza di "stare meglio".

Stamani, nel silenzio del mio eremo – in cui solo risuona lo Stabat Mater di Dvorak, in queste dinamiche e in sintonia col mondo cristiano odierno, ho ripescato parole perfette per questa giornata, e ve le condivido. Da "un'antica «Omelia sul Sabato santo»". (PG 43, 439. 451. 462-463), reperibile per intero sul sito http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010414_omelia-sabato-santo_it.html

La discesa agli inferi del Signore
Che cosa è avvenuto? 
Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. 
Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. 
Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. 
...
Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. 
...
A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! 
A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. 
Risorgi, opera delle mie mani! 
Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! 
Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura. 
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. 
Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. 
Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. 
Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. 
...
Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. 
...
Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio. 
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. 
In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli.

(foto mia - Umbria 2011)

venerdì 11 aprile 2014

Trenta ore d'ospedale

Quanto tempo che non pubblico! Troppe cose, e importanti, sono accadute nella mia vita: vado con ordine, spero di riuscire a dire bene…

Era da forse tre anni che non facevo un po’ di ospedale. Questo era in aria da tempo, poi è rapidamente accaduto. Trenta ore in ospedale, ogni tanto, mi paiono salutari (e naturalmente parlo per me, come sempre)! Salutari perché rimettono la palla al centro, azzerano tante cose inutili, fanno un po’ di pulizia anche se lì per lì non ne senti l’esigenza.

Intervento in anestesia locale. Mi ha operato un chirurgo con cui c’erano conoscenze comuni. Nell’attesa si liberasse la sala operatoria ci siamo fatti delle grandi risate, insieme ad un altro chirurgo di passaggio, tanto che temevo uscisse qualcuno a farci un urlo. Poi all’anestesia una dottoressa molto umana, grande. Insomma, tutto col cuore leggero.
I problemi più grossi li ho avuti per via del letto, non proprio adatto alla mia schiena. Il dolore dell'intervento è giunto molto dopo, ma decisamente tollerabile.

Il mio collega di stanza, un uomo anziano e con diverse disavventure sulle spalle, aveva passato momenti difficili il giorno precedente. Mi ha raccontato di questo e di tanta sua vita. Lui e la moglie, quando son partito, si son resi conto che solo mi avevano visto giungere e solo mi vedevano partire, sbilenco. Certo, avevo avuto diverse visite, c’era chi faceva da autista (grazie!), ma loro mi vedevano solo. E sicuro lo star male e pure una convalescenza in questa solitudine non sono una passeggiata.

Poi sono stato a fare il terzo figlio da mia figlia, per parecchi giorni. Praticamente sequestrato: “In quella casa non puoi stare solo, e poi le scaleeee!” Mi ci vien da ridere un po’, ma pure questo è Vangelo: “Quando sarai vecchio altri ti condurranno!” Allora si parlava solamente di vecchiaia e non certo di matrimonio in solitudine, impensabile.

In ospedale e poi in convalescenza, con me diversi libri. Due ne ho letti, in alternanza. Samuel Beckett e don Primo Mazzolari. Sembrano lontanissimi tra loro, eppure si toccano. O almeno: io li faccio toccare.
Parlano dell’uomo, del suo esistere. Da angolazioni molto diverse ma alla fine tutto pare convergere. 

L’angoscia che toglie il respiro, in Beckett. Il teatro dell’assurdo (a volte manco troppo), situazioni esasperate che ben rendono la solitudine, il dolore del vivere, l’incomunicabilità, “un qualcosa circondato dal nulla”. Scritto tanti anni fa, ma quasi profetico. O forse: l’uomo è sempre l’uomo.

Don Mazzolari non lo conoscevo, un libro regalatomi da tempo. Un parroco di paese scrive nel 1940 dei discepoli di Emmaus, ma scrive intorno all’uomo di sempre, pure lui. Un’attualità incredibile nella visione della realtà, e specie della Chiesa, come se nulla fosse cambiato negli ultimi settant’anni.
E ci trovo molto che mi riguarda. Dovrò rileggerlo, in maniera più analitica.

“Bisogna avere occhio a Dio e all’uomo: raccogliere il gemito che sale e il raggio purissimo che discende, se vogliamo rispettare e aiutare il momento umano della verità, che è il momento che ci riguarda. Chi conosce bene se stesso è in condizione di capire il momento umano…” 

“La speranza è un credito fatto a Dio oltre ciò che l’uomo può vedere e capire. La beatitudine incomincia dove finisce il vedere: Beato chi crederà senza aver visto. I pazienti e gli audaci, che son poi i veri “umili di cuore”, preparano il Regno, rinunciando ai propri piani e sforzandosi di entrare nei piani divini.” 

I pazienti e gli audaci: bellissimo, pare di parlare dei separati, di questa mia "involontaria categoria”: “preparano il Regno, rinunciando ai propri piani e sforzandosi di entrare nei piani divini”!

(foto mia, Biennale Venezia 2012)

venerdì 28 febbraio 2014

Due miglia

Devo dire in tutta onestà che questa solitudine è polivalente.
Ovvero: un bene, un male. Dipende.
Dipende da come sto dentro io, da come la vivo.
Ma questo ovviamente vale per tutte le cose al mondo. Perché pure la compagnia, lo stare in allegra compagnia, cambia decisamente in conseguenza del mio essere "dentro".

A volte mi parlo da solo, mi metto a ridere davanti allo specchio, parlo con la mia sposa “virtuale” come se fosse qui con me. Perché questo è, dovrebbe essere.
Dice: rassegnati! Ma di cosa? A me la rassegnazione? Non so cosa sia! So solo che ho un matrimonio bello e vivo (un poco anomalo, eh!), che ho una sposa leggermente distratta, dei figli meravigliosi… e il tempo che galoppa. Sì, alla fine tutto è sempre e solo nel tempo, è il tempo. È una funzione di Dio, forse tale da esserne un tutt’uno.

Questo tempo che mi avvicina sempre più, che vivo attimo per attimo qui nell’eremo e ovunque, che mi permette di non sapere più il mio passato, e certo nemmeno il futuro.
Che mi offre di continuo tutto e nulla, dipende da me.
Nella libertà, quella di figlio di Dio. Quella di scegliere ogni istante, di non avere un “destino” a cui sottomettermi.
Penso di avere un disegno (qualche volta pare uno scarabocchio!) che si sta delineando sempre più… nel dolore. Questo dolore che mai finisce, questa frattura del cuore che se da un lato mi ha permesso crescite impensabili (e forse nemmeno sognate!) mi ha amplificato il cuore, aperto gli occhi, dilatato i pori, dall’altra mi costringe ad invecchiare da solo, ad avere mani inutili, a sognare il cuore distratto della bella che sposai.

Certo potrei cambiare modo di vivere, fare come fan tutti (quasi). Sono stato e sono di continuo invitato alla distrazione, anch’io. Ma troppo ho vissuto per non sapere ormai quel che vale.
Ed ecco che questa libertà si intreccia col tempo: a che pro vivere cose che so bene non avere valore vero “nel tempo”? Perché oltre all’immediato, poi nulla dura. È come sotto il sole del deserto: nulla resiste.

Il tempo passa: inesorabile, signore della storia. E se Paolo invecchia.. i figli e i nipoti crescono!
Nei giorni scorsi sono andato ad aiutare mia figlia coi piccoli. Tio, tre anni, si è svegliato malissimo, molto contrariato, non ha voluto nemmeno fare merenda. C’era un sole bello, siamo usciti. Gli ho chiesto se gli piacciono i cornetti: "sììì!" "Allora andiamo al bar, e ti prendi cornetto e caffè?" "Noooo, il caffè non lo voglio, non è per i bimbi." "Allora cappuccino?" Noooo!" "Allora latte?" "Sìììì!"
Insomma, siamo andati al bar e questo giovanotto è stato felicissimo, ha scelto al banco, e poi al tavolo seduto da grande ha mangiato un cornetto con un bicchiere di latte con cacao…
Credo di non aver mai portato miei figli in un bar, specie da piccoli! Ah, il tempo, cosa fa!
“Nonno” ha una sua bellezza, come ogni epoca della vita. Vissuta nel presente, profondamente.

Poi a casa io e lui abbiamo ripreso a vedere la Cenerentola di Rossini, da youtube, una versione particolare e godibilissima. Una favola raccontata non da cartoons ma da umani che parlano fiabesco! Sta molto preso da questa storia, la vediamo insieme, mi chiede tutto, come si chiamano, perché una cosa o perchè un’altra.
A ora di cena non voleva saperne: non poteva interrompere Cenerentola per mangiare! Son rimasto stupefatto. Non credo si sia mai visto un bambino di tre anni fare i capricci per vedere l’Opera, per quanto particolare.

Con tutte queste cose che mi turbinano dentro, arriva una luce sferzante, ancora: «… anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.…».

Me ne ero dimenticato, è la mia fotografia.
In tribunale ci son stato portato realmente, e ho lasciato ben altro che tunica e mantello.
E devo continuare a fare ancora miglia, anche se già siamo ben oltre le due…

(foto mia, monte Subasio)

martedì 11 febbraio 2014

I vespri siciliani

Stasera son rientrato presto dal lavoro. Dopo una settimana di ondivaga malattia, ho ripreso i miei ritmi. C’era ancora luce, le giornate s’allungano. Il tempo alla fine vince sempre.
Dentro... sto abbastanza oltre, oltre il contingente. Sono sotto pressione, ho l’orizzonte come tappato, ma estremamente sereno.

Ho appena terminato una telefonata con la moglie di un mio amico che ha lasciato marito e figli e tutto per andare a vivere un’altra vita. Abbiamo feeling, ci vogliamo bene davvero, lei sa la mia vita. Ogni storia è diversa, glielo sottolineo (sto perdendo il mio drammatico bianco/nero, per acquisire le sfumature dei grigi!). Le racconto di miei avvenimenti recenti. Lei augura che il marito trovi un’altra che possa amarlo come lui ha amato lei. Non credo che lui cercherà altre. Posso solo dirle la mia amicizia e la mia vicinanza. Che per lei ci sono e sempre ci sarò.

Con questi sentimenti rientro a casa e mi metto in cucina, ho delle verdure che attendono. Un’oretta di lavoro, alla fine accendo il pc, c’è tanta posta. Trovo qualcosa che mi trafigge, alcune righe del solito anonimo amico, stavolta più del solito prepotenti. Commozione tanta, inevitabile: scritte per me, centrano il problema, vanno dritte al cuore.

Sono tutto un subbuglio, perché ho delle scelte da fare, delle domande cui rispondermi. Ceno, lavo rapidamente i pochi piatti.
Di botto, in cucina mi trovo a fermare il mondo. Rendermi conto della mia sposa, della sua vita. Donata a me ma, soprattutto, affidata a me: io accolgo te come mia sposa!

Ultimamente mi son trovato in una pressione fortissima che diceva: occupati di te, finalmente! Ed ho guardato a fondo me, i miei “diritti”, veri, reali, impellenti. Indubitabili.

Ecco il lampo. Il mio esistere è lei, per lei, in lei. E quindi (per sempre?): senza di lei? Non dipende da me, io posso solo la mia parte. Questo avevo promesso, e forse poco mantenuto. Ma oggi posso.

Tante volte l’ho scritto, e stasera mi pare di scriverlo ancora, ma col pennino intriso di sangue. Mi accorgo che non è più il mio, è il suo sangue. Siamo una sola cosa, sventrati, dissanguati. Assieme, un corpo, solo e massacrato.

Il dolore esiste, è perforante a volte. Ma se il dolore esiste è certo anche il suo speculare, l'amore: dipende da come li vivo.

Qui nell'eremo ho "I vespri siciliani" che suona possente, sta accompagnando questo scrivere. Grazie Verdi, anche la tua parte conta. Pur che non capisco parole o senso, questi duetti mi cantano armonia nel cuore. Davvero a volte l’Opera, proprio come stasera, non passa, è tutt’uno con l’immortalità.

(foto mia, 2008)

sabato 8 febbraio 2014

Sotto attacco concentrico

La scorsa settimana, ero al lavoro, una telefonata sul cellulare. Vedo il nome, era quasi atteso, temuto! È dal giornale, è un pezzo che non pubblico sul blog… stavolta una bella tirata d’orecchi! E invece no, c’era stata la sentenza Meredith, e al raduno di redazione avevano pensato a me per scrivere un pezzo sulla Perugia in cui è maturato il delitto. Da una parte un sollievo per il mancato rimbrotto… dall’altra il peso di una grande responsabilità: scrivere di una città nella città, del centro storico in cui oramai raramente capito, come tanti. Poi avevo da fare nel pomeriggio una visita in ospedale (a breve nuovo intervento chirurgico, evviva! nulla di grave, importante mantenere comunque alta la media personale) e in serata arrivava un amico per il week end. Naturalmente il pezzo serviva in tempo reale, come sempre accade per i quotidiani web. Ho fatto rapidi sondaggi con persone che potevano avere voce in capitolo. Non senza fatica son riuscito a chiudere dopo tagli, limate, rammendi. Poi è stato pubblicato, ne è uscito qualcosa di molto reale, così mi dicono, una fotografia nitida, come voleva essere.

È davvero tanto che non scrivo, lo so, ma pare questo sia il bello della diretta, della diretta dalla vita. Una vita che in questo momento pare sotto attacco concentrico, massiccio, da 360°, a tutta vista. Le cause son tante, di vario genere. Mi rendo conto che sto passando l’inverno più freddo della mia vita. E non parlo del fuori. Va tutto bene, ma la sensazione è di gelo profondo. So che sto facendo le cose giuste (non che le faccia poi bene, ma a questo mi sono adattato!) sia nel mio matrimonio, sia al lavoro, sia in tutto. Ma evidentemente questo passaggio è divenuto obbligato. Ho la sensazione sempre più nitida che si stia compiendo un ciclo. Arrivato al capolinea. Si cambia bus, si cambia ritmo, si cambia meta. Ancora non ne comprendo i contorni, tutto nebuloso, ma la sensazione è questa. Ciò che ho vissuto non posso fingere di non sapere, e quello di oggi non devo né posso tenerlo per me.

Questa separazione in cui vivo, e in cui si vive in tanti, sempre più, è un micro dramma personale e familiare ma è anche un dramma della storia di oggi, che passerà ai posteri. Dipende dai noi scrivere: come.
Il nome del blog: in-separabili mi è stato più volte e con vero affetto proposto di modificarlo in: separabilissimi. Perché è vero: le umane forze terminano, perché la notte pare non finire mai, perché il sangue si esaurisce ad un certo punto, perché il matrimonio si vive in due.
Infatti questo è il punto cruciale: la reciprocità. Il dono di sé… a chi? A chi si occupa di ben altro? A chi non sa più chi è? Ci si sposa per stare insieme, condividere la gioia e il dolore, anche darsi gioie e dolori, per crescere, nonostante tutto e proprio per tutto, mediante tutto, insieme. Ma quando “insieme” diviene impossibile e pare non esistere girone di ritorno, se la “malattia” diviene incurabile… che fare? E la reciprocità, il mutuo amore?

Così sto vivendo: io, oggi.
E certamente la ricetta non è esportabile tot court, ogni storia è diversa. E comunque oggi è così, domani non so. Perché onestamente non ho le certezze di sapere quel che accadrà domani (e da giovane avevo le idee chiare su tutto)! Adesso, giorno dopo giorno, notte dopo notte: si naviga nella nebbia, inevitabile. Ma chi le sa le risposte, nel concreto? Io so solo quelle che vengono dalla mia vita. L’insegnamento che ne traggo: se oggi (finalmente!) hai occhi per vedere, collegali alla testa... che è non lontana, e poi mettici in moto il cuore!

Sono stato malato, e non sto ancora bene: l’influenza che quest’anno sta decimando senza pietà. Nelle scorse notti, sveglio, silenzio assoluto, sentivo la pioggerella fina sul tetto, delicata quasi impercettibile… Come udire la voce di Dio dentro di sé: ridurre il rumore a nulla. Operazione che appare banalissima, ma spesso impossibile. C’è chi per ritrovarsi invece utilizza la psicologia. E magari, dopo anni e anni, con tanto tempo e denaro spesi, addirittura si ritrova con la dipendenza (!) e col rumore interno accresciuto. E quindi sempre più distante dalla Verità che ha comunque dentro.

In questo periodo sono preso dal montaggio dei video di famiglia, trent’anni di riprese da elaborare e ridurre, anche qui, al solo essenziale (come sempre)! I primi, naturalmente nativi in Super8, son poi passati su VHS, e quindi transitati in digitale… la qualità è un disastro, ma per la storia basta.
Un lavoro delicato che prevedo lungo, ma devo farlo e pure urgentemente, pubblicando spezzoni di dieci minuti alla volta. Andava iniziato tanti anni fa, oggi non so se riuscirò a smaltire l’arretrato ed andare in paro. Perché la vita è breve davvero, le giornate volano, il tempo si chiude presto.
Ma questo devo farlo, e lasciarlo a figli e nipoti. Io ci sono di rado nelle riprese, come nelle foto. Sto sempre dall’altra parte, sono il testimone e non il testimoniato.
C’è più amore così, credo, e comunque questa è la mia storia.

(foto: una delle mie coccinelle di casa!)

mercoledì 8 gennaio 2014

Oro, incenso, mirra

Solo ora riprendo contatto con la mia realtà solita, dopo un periodo intensissimo di rapporti, in queste settimane di festività. Entro sul portale cittanuova.it, scorro gli articoli, vedo “Le Colonne d’Ercole” e subito penso: toh, un articolo col mio titolo ultimo! No, era proprio il mio post ultimo. Vado a vedere i blog, sono il fanalino di coda, come spesso accade. Da quasi un mese non pubblico, anche se ho comunque scritto.

Nei giorni precedenti il Natale mi son trovato fortuitamente in un outlet lungo l’Autostrada del Sole. Dice che si può “anche” acquistare bene. Ho chiamato mia figlia sposata per indagare sulle necessità loro e dei bimbi per eventuali regali natalizi. Mi ha comunicato che “quest’anno niente regali”: disposizione da estendere a parenti ed amici. Dopo meno di un istante… l’ho ringraziata di questa scelta che mi pare etica e sana, specie di questi tempi. Bravi stì ragazzi! Decisione certo non facile, immersi come siamo in un meccanismo di spesa più grande di noi. Qualcuno mi ha poi obiettato: ma i bimbi senza regali come vivono il Natale? Certo, ha un suo fascino il nostro ricordare quell’ansia al mattino, alzarsi prestissimo per vedere se Babbo Natale era passato oppure no, se tutto aveva funzionato bene…

Però è pur vero che i figli crescono con l’imprinting che ricevono. E Natale ha certo qualche motivo migliore dei doni per essere vissuto e ricordato. Lavorare dentro, aiutare questi piccoli uomini nel costruire l’uomo nuovo da dentro, che poi l’esterno conta pure, ma molto molto dopo.
Spero di esserci ancora, da nonno posso fare una bella parte. Ho l’esperienza del padre, nel bene e nel male della crescita di tre bei figli, ho l’esperienza di questi anni di “invecchiamento” in serena sofferta solitudine.

Al termine di queste giornate festive mi pare che questi bambini abbiano vissuto momenti speciali in rapporti, circondati non da regali ma da affetto di tante persone. Tanto affetto, attenzione, calore. Molto più del solito! Eravamo in tanti e loro naturalmente sempre al centro dell’attenzione. Speciale Natale.

Mia cognata era stata avvisata del “niente regali quest’anno”. Ma ha contravvenuto giungendo con un libro “su misura per me”, già da prima acquistato. Scritto da una ragazza che conosce di persona… curioso, apro. Santiago de Compostela, una giovane mamma che ha camminato dai Pirenei sino a Santiago col suo bimbo di otto anni. Quasi mille km fatti nel giugno 2007, tre mesi dopo di me. Leggo la seconda di copertina e già son commosso. Me li vedo lì sui sentieri, queste due creature mano nella mano, con gli zaini, la fatica, il sorriso dei tanti che li avranno incrociati, accompagnati, aiutati. I rapporti nuovi e veri che ne saranno sgorgati.
Questo camminare sulla via di Santiago è la cosa - forse la sola al mondo - che mi trovo a consigliare vivamente, e a volte pure energicamente, a tutti, senza distinzione alcuna.

Fine anno in piena solitudine, come era giusto che fosse. Sino alla fine pensavo che sarei stato con amici, un folto gruppo, e con i nipotini. Ma mi son reso cento che avevo un debito, e non potevo eludere. Un debito con i soli. In special modo: un amico e un’amica, soli, storie completamente diverse, a tanti km da me. Ma con tanti altri, anche. Persone di cui vivo i dolori a volte ben celati. C’è un filo sottile che lega tutte queste vite, passa per il mio cuore. E nulla è inutile.
Ho passato la notte di capodanno in chat con l’amico, dopo tanto tempo. Si è fatta l’una e nemmeno ce ne siamo accorti. Altro che brindisi!
A vedere situazioni di dolori senza fiato e senza fine, verrebbe da chiedersi dove è Dio. Ricordo un ritornello solito nelle mie orecchie di bambino: “Se è vero Gesù Cristo, perché tutto questo dolore?” 

In questi ultimi giorni altro tour de force, intensissimo. Culminato con l’Epifania, una sintetica spiegazione dei tre doni dei Magi. Oro, incenso e mirra. Possibile che in tutti questi anni della mia vita non avevo saputo certe cose? L’oro si può capire, anche se il bimbo era andato a nascere in una stalla e proprio non gli interessava. E l’incenso pure, usato ancor oggi. Ma la mirra? Come e perché donare materiale per imbalsamare il corpo, alla morte? Donata ad un bambino, specie se Figlio di Dio, appare un controsenso. Serve forse per dire, per ricordare a questo bambino, ma specie ai suoi genitori, che deve anche lui morire, che ha un corpo mortale. È Dio, ma è anche uomo. E il suo corpo ha il destino degli uomini, salvo poi risorgere dopo tre giorni. Ma dopo, solo dopo il passaggio per gli inferi.

"Se Gesù Cristo è vero, perché il dolore?” Come spiegarlo, chi può crederlo? Ho imparato che si può solo viverlo. Una scelta di fede all'inizio, una scelta d'amore. Ed era saputo, chiarissimo: “A chi mi ama mi manifesterò”. Talmente semplice da divenire impossibile da concepire. Eppure è storia di tanti, di tutti i giorni, da millenni.

(foto mia, Biennale Venezia 2012)