venerdì 28 febbraio 2014

Due miglia

Devo dire in tutta onestà che questa solitudine è polivalente.
Ovvero: un bene, un male. Dipende.
Dipende da come sto dentro io, da come la vivo.
Ma questo ovviamente vale per tutte le cose al mondo. Perché pure la compagnia, lo stare in allegra compagnia, cambia decisamente in conseguenza del mio essere "dentro".

A volte mi parlo da solo, mi metto a ridere davanti allo specchio, parlo con la mia sposa “virtuale” come se fosse qui con me. Perché questo è, dovrebbe essere.
Dice: rassegnati! Ma di cosa? A me la rassegnazione? Non so cosa sia! So solo che ho un matrimonio bello e vivo (un poco anomalo, eh!), che ho una sposa leggermente distratta, dei figli meravigliosi… e il tempo che galoppa. Sì, alla fine tutto è sempre e solo nel tempo, è il tempo. È una funzione di Dio, forse tale da esserne un tutt’uno.

Questo tempo che mi avvicina sempre più, che vivo attimo per attimo qui nell’eremo e ovunque, che mi permette di non sapere più il mio passato, e certo nemmeno il futuro.
Che mi offre di continuo tutto e nulla, dipende da me.
Nella libertà, quella di figlio di Dio. Quella di scegliere ogni istante, di non avere un “destino” a cui sottomettermi.
Penso di avere un disegno (qualche volta pare uno scarabocchio!) che si sta delineando sempre più… nel dolore. Questo dolore che mai finisce, questa frattura del cuore che se da un lato mi ha permesso crescite impensabili (e forse nemmeno sognate!) mi ha amplificato il cuore, aperto gli occhi, dilatato i pori, dall’altra mi costringe ad invecchiare da solo, ad avere mani inutili, a sognare il cuore distratto della bella che sposai.

Certo potrei cambiare modo di vivere, fare come fan tutti (quasi). Sono stato e sono di continuo invitato alla distrazione, anch’io. Ma troppo ho vissuto per non sapere ormai quel che vale.
Ed ecco che questa libertà si intreccia col tempo: a che pro vivere cose che so bene non avere valore vero “nel tempo”? Perché oltre all’immediato, poi nulla dura. È come sotto il sole del deserto: nulla resiste.

Il tempo passa: inesorabile, signore della storia. E se Paolo invecchia.. i figli e i nipoti crescono!
Nei giorni scorsi sono andato ad aiutare mia figlia coi piccoli. Tio, tre anni, si è svegliato malissimo, molto contrariato, non ha voluto nemmeno fare merenda. C’era un sole bello, siamo usciti. Gli ho chiesto se gli piacciono i cornetti: "sììì!" "Allora andiamo al bar, e ti prendi cornetto e caffè?" "Noooo, il caffè non lo voglio, non è per i bimbi." "Allora cappuccino?" Noooo!" "Allora latte?" "Sìììì!"
Insomma, siamo andati al bar e questo giovanotto è stato felicissimo, ha scelto al banco, e poi al tavolo seduto da grande ha mangiato un cornetto con un bicchiere di latte con cacao…
Credo di non aver mai portato miei figli in un bar, specie da piccoli! Ah, il tempo, cosa fa!
“Nonno” ha una sua bellezza, come ogni epoca della vita. Vissuta nel presente, profondamente.

Poi a casa io e lui abbiamo ripreso a vedere la Cenerentola di Rossini, da youtube, una versione particolare e godibilissima. Una favola raccontata non da cartoons ma da umani che parlano fiabesco! Sta molto preso da questa storia, la vediamo insieme, mi chiede tutto, come si chiamano, perché una cosa o perchè un’altra.
A ora di cena non voleva saperne: non poteva interrompere Cenerentola per mangiare! Son rimasto stupefatto. Non credo si sia mai visto un bambino di tre anni fare i capricci per vedere l’Opera, per quanto particolare.

Con tutte queste cose che mi turbinano dentro, arriva una luce sferzante, ancora: «… anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.…».

Me ne ero dimenticato, è la mia fotografia.
In tribunale ci son stato portato realmente, e ho lasciato ben altro che tunica e mantello.
E devo continuare a fare ancora miglia, anche se già siamo ben oltre le due…

(foto mia, monte Subasio)

martedì 11 febbraio 2014

I vespri siciliani

Stasera son rientrato presto dal lavoro. Dopo una settimana di ondivaga malattia, ho ripreso i miei ritmi. C’era ancora luce, le giornate s’allungano. Il tempo alla fine vince sempre.
Dentro... sto abbastanza oltre, oltre il contingente. Sono sotto pressione, ho l’orizzonte come tappato, ma estremamente sereno.

Ho appena terminato una telefonata con la moglie di un mio amico che ha lasciato marito e figli e tutto per andare a vivere un’altra vita. Abbiamo feeling, ci vogliamo bene davvero, lei sa la mia vita. Ogni storia è diversa, glielo sottolineo (sto perdendo il mio drammatico bianco/nero, per acquisire le sfumature dei grigi!). Le racconto di miei avvenimenti recenti. Lei augura che il marito trovi un’altra che possa amarlo come lui ha amato lei. Non credo che lui cercherà altre. Posso solo dirle la mia amicizia e la mia vicinanza. Che per lei ci sono e sempre ci sarò.

Con questi sentimenti rientro a casa e mi metto in cucina, ho delle verdure che attendono. Un’oretta di lavoro, alla fine accendo il pc, c’è tanta posta. Trovo qualcosa che mi trafigge, alcune righe del solito anonimo amico, stavolta più del solito prepotenti. Commozione tanta, inevitabile: scritte per me, centrano il problema, vanno dritte al cuore.

Sono tutto un subbuglio, perché ho delle scelte da fare, delle domande cui rispondermi. Ceno, lavo rapidamente i pochi piatti.
Di botto, in cucina mi trovo a fermare il mondo. Rendermi conto della mia sposa, della sua vita. Donata a me ma, soprattutto, affidata a me: io accolgo te come mia sposa!

Ultimamente mi son trovato in una pressione fortissima che diceva: occupati di te, finalmente! Ed ho guardato a fondo me, i miei “diritti”, veri, reali, impellenti. Indubitabili.

Ecco il lampo. Il mio esistere è lei, per lei, in lei. E quindi (per sempre?): senza di lei? Non dipende da me, io posso solo la mia parte. Questo avevo promesso, e forse poco mantenuto. Ma oggi posso.

Tante volte l’ho scritto, e stasera mi pare di scriverlo ancora, ma col pennino intriso di sangue. Mi accorgo che non è più il mio, è il suo sangue. Siamo una sola cosa, sventrati, dissanguati. Assieme, un corpo, solo e massacrato.

Il dolore esiste, è perforante a volte. Ma se il dolore esiste è certo anche il suo speculare, l'amore: dipende da come li vivo.

Qui nell'eremo ho "I vespri siciliani" che suona possente, sta accompagnando questo scrivere. Grazie Verdi, anche la tua parte conta. Pur che non capisco parole o senso, questi duetti mi cantano armonia nel cuore. Davvero a volte l’Opera, proprio come stasera, non passa, è tutt’uno con l’immortalità.

(foto mia, 2008)

sabato 8 febbraio 2014

Sotto attacco concentrico

La scorsa settimana, ero al lavoro, una telefonata sul cellulare. Vedo il nome, era quasi atteso, temuto! È dal giornale, è un pezzo che non pubblico sul blog… stavolta una bella tirata d’orecchi! E invece no, c’era stata la sentenza Meredith, e al raduno di redazione avevano pensato a me per scrivere un pezzo sulla Perugia in cui è maturato il delitto. Da una parte un sollievo per il mancato rimbrotto… dall’altra il peso di una grande responsabilità: scrivere di una città nella città, del centro storico in cui oramai raramente capito, come tanti. Poi avevo da fare nel pomeriggio una visita in ospedale (a breve nuovo intervento chirurgico, evviva! nulla di grave, importante mantenere comunque alta la media personale) e in serata arrivava un amico per il week end. Naturalmente il pezzo serviva in tempo reale, come sempre accade per i quotidiani web. Ho fatto rapidi sondaggi con persone che potevano avere voce in capitolo. Non senza fatica son riuscito a chiudere dopo tagli, limate, rammendi. Poi è stato pubblicato, ne è uscito qualcosa di molto reale, così mi dicono, una fotografia nitida, come voleva essere.

È davvero tanto che non scrivo, lo so, ma pare questo sia il bello della diretta, della diretta dalla vita. Una vita che in questo momento pare sotto attacco concentrico, massiccio, da 360°, a tutta vista. Le cause son tante, di vario genere. Mi rendo conto che sto passando l’inverno più freddo della mia vita. E non parlo del fuori. Va tutto bene, ma la sensazione è di gelo profondo. So che sto facendo le cose giuste (non che le faccia poi bene, ma a questo mi sono adattato!) sia nel mio matrimonio, sia al lavoro, sia in tutto. Ma evidentemente questo passaggio è divenuto obbligato. Ho la sensazione sempre più nitida che si stia compiendo un ciclo. Arrivato al capolinea. Si cambia bus, si cambia ritmo, si cambia meta. Ancora non ne comprendo i contorni, tutto nebuloso, ma la sensazione è questa. Ciò che ho vissuto non posso fingere di non sapere, e quello di oggi non devo né posso tenerlo per me.

Questa separazione in cui vivo, e in cui si vive in tanti, sempre più, è un micro dramma personale e familiare ma è anche un dramma della storia di oggi, che passerà ai posteri. Dipende dai noi scrivere: come.
Il nome del blog: in-separabili mi è stato più volte e con vero affetto proposto di modificarlo in: separabilissimi. Perché è vero: le umane forze terminano, perché la notte pare non finire mai, perché il sangue si esaurisce ad un certo punto, perché il matrimonio si vive in due.
Infatti questo è il punto cruciale: la reciprocità. Il dono di sé… a chi? A chi si occupa di ben altro? A chi non sa più chi è? Ci si sposa per stare insieme, condividere la gioia e il dolore, anche darsi gioie e dolori, per crescere, nonostante tutto e proprio per tutto, mediante tutto, insieme. Ma quando “insieme” diviene impossibile e pare non esistere girone di ritorno, se la “malattia” diviene incurabile… che fare? E la reciprocità, il mutuo amore?

Così sto vivendo: io, oggi.
E certamente la ricetta non è esportabile tot court, ogni storia è diversa. E comunque oggi è così, domani non so. Perché onestamente non ho le certezze di sapere quel che accadrà domani (e da giovane avevo le idee chiare su tutto)! Adesso, giorno dopo giorno, notte dopo notte: si naviga nella nebbia, inevitabile. Ma chi le sa le risposte, nel concreto? Io so solo quelle che vengono dalla mia vita. L’insegnamento che ne traggo: se oggi (finalmente!) hai occhi per vedere, collegali alla testa... che è non lontana, e poi mettici in moto il cuore!

Sono stato malato, e non sto ancora bene: l’influenza che quest’anno sta decimando senza pietà. Nelle scorse notti, sveglio, silenzio assoluto, sentivo la pioggerella fina sul tetto, delicata quasi impercettibile… Come udire la voce di Dio dentro di sé: ridurre il rumore a nulla. Operazione che appare banalissima, ma spesso impossibile. C’è chi per ritrovarsi invece utilizza la psicologia. E magari, dopo anni e anni, con tanto tempo e denaro spesi, addirittura si ritrova con la dipendenza (!) e col rumore interno accresciuto. E quindi sempre più distante dalla Verità che ha comunque dentro.

In questo periodo sono preso dal montaggio dei video di famiglia, trent’anni di riprese da elaborare e ridurre, anche qui, al solo essenziale (come sempre)! I primi, naturalmente nativi in Super8, son poi passati su VHS, e quindi transitati in digitale… la qualità è un disastro, ma per la storia basta.
Un lavoro delicato che prevedo lungo, ma devo farlo e pure urgentemente, pubblicando spezzoni di dieci minuti alla volta. Andava iniziato tanti anni fa, oggi non so se riuscirò a smaltire l’arretrato ed andare in paro. Perché la vita è breve davvero, le giornate volano, il tempo si chiude presto.
Ma questo devo farlo, e lasciarlo a figli e nipoti. Io ci sono di rado nelle riprese, come nelle foto. Sto sempre dall’altra parte, sono il testimone e non il testimoniato.
C’è più amore così, credo, e comunque questa è la mia storia.

(foto: una delle mie coccinelle di casa!)