mercoledì 27 aprile 2011

27 aprile 1911

Oggi è una data importante per me e qualcun altro sulla terra. Cento anni fa nasceva Sabatino, il mio padre terreno. Partito oramai da venti anni, l’ho visto lottare energicamente per la vita, infine sopraffatto da una serie di eventi negativi.

Del corpo dovrebbe esserne rimasto nulla, anche se ho qualche dubbio.
Era troppo bello, col viso stranamente imprevedibilmente felice, lì sul letto di morte, nell’obitorio dell’ospedale dell’Aquila. Sono stato con lui in rianimazione, negli ultimi giorni, tutto il poco tempo consentito. Quando le macchine hanno cominciato a suonare, ero lì che gli stringevo la mano. Come fossi ad accompagnarlo nel trasbordo da una esistenza all’altra. Almeno questo.

Primogenito, sono nato che lui aveva già 43 anni. Siamo sempre stati due mondi lontani, pur volendoci bene. E la nostra comunicazione ne ha risentito, specie negli anni della crescita: lui rigido nel suo mondo antico, io pieno figlio dell’epoca della destrutturazione.

Ha messo tre volte la divisa da soldato, di cui due per fare guerre in terre lontane.
Ha lasciato il mondo migliore di come lo aveva trovato, cosa che alla mia generazione pare assolutamente non possibile.
Poche chiacchiere, zero smancerie e tanta concretezza, solo divenuto nonno l’ho visto intenerirsi. E coi nipoti pareva trasformarsi: forse smetteva la veste di genitore e finalmente liberava la sua affettività.
È stato uomo vero.
Conosceva bene il sacrificio e il dolore, anche se forse non arrivava a dargli un nome.
Nel suo portafogli ho poi trovato un’immagine di Maria madre.
Sulla tomba abbiamo scritto, dagli Atti: “Soltanto per mezzo di molte tribolazioni si può entrare nel regno dei cieli”.
All’esame finale penso proprio sia andato bene. Era preparato.

In un sabato pomeriggio di inizio autunno, gelido e limpido come solo i monti d’Abruzzo nella loro tramontana sanno plasmare, lo abbiamo accompagnato nell’ultimo finale viaggio. Quando siamo arrivati col corteo funebre sono rimasto impressionato dal mare di gente che lo attendeva. Ho pensato ad alta voce: “Ma tutta questa gente a festeggiare... papà sarà contento!” E mia madre: “Questo è un funerale, non una festa”. Vero: infatti bisognerebbe rendere omaggio ai vivi, non attenderne la morte.

Il cuore mi è quasi scoppiato alla sua partenza, anche se ci ero preparato da sempre. Sai che tuo padre partirà prima di te, specie se è anziano. Ma scacci sempre l’idea. Poi tocca a te, nella scala della vita. Sarai pronto? Intanto hai una famiglia cui badare, tre figli piccoli, la tua sposa, tua madre che piange giorno e notte senza tregua. E che poco dopo partirà a raggiungerlo.

Oggi, in questo assaggio di strana primavera, qui nella campagna intorno casa, vivo dentro un’esplosione di verde. I miei due grandi alberi di noce son tornati vivi e belli, dopo la spoliazione annua: il ciclo della vita si perpetua, la natura risorge dopo la morte.
Come la Pasqua nei giorni scorsi, che ogni anno torna a ricordare che la Resurrezione è un fatto terreno, per tutti, di adesso e non di sola vita futura.

(foto mia, Fossacesia 1989)

lunedì 11 aprile 2011

Aboliamo allora l'amore

Sono in ritardo sui tempi di pubblicazione consueti, e me ne scuso con quanti mi seguono.
Mi son trovato coi tempi contratti e quindi il mio scrivere ne ha risentito.
Tra l'altro ho vissuto giorni molto fuori dal comune: sono divenuto nonno e pare siano cambiate tante cose... (Ma questa è una storia che merita ben più di due fugaci parole!)

Mi ha scritto Daniela alcune belle e decisamente sofferte righe. Non condivide il mio affermare che una famiglia dissolta può essere vera e bella. E mette il dito nella piaga della non reciprocità: “ma il rapporto tra i coniugi cosa diventa?”
Bella questione, presumo lei ci viva dentro, come me d’altronde.
Può un rapporto sopravvivere se si rompe l’unione?
Quando ti sposi sai, anche se fingi di non sapere, che uno dei due morirà prima, in genere l’uomo. Per cui dovresti, a rigor di logica, sapere che entri in un “rapporto a tempo determinato”, che giustamente sogni felice e il più duraturo possibile.
La morte devi metterla in conto. È più grande di te.
Ma la separazione no e se accade il dolore ti sovrasta, ti prevarica quasi: si spezza il tuo progetto di vita, che è la tua stessa vita.
E arrivi con giustificabile amarezza alle conclusioni di Daniela: “…aboliamo allora l’amore o quel che sembra amore… che è solo illusione inventata da qualcuno lassù…”

Il separato vive il dolore più grande nella famiglia, forse anche più del vedovo. E questo pare richiedere l’amore più grande. Penso al Vangelo: “Se amate solo quelli che vi amano, che merito ne avete? Non fanno così pure i pagani?” riferito ai normali rapporti tra umani, figurarsi tra due che sposandosi si son promessi amore: “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”!
Eccolo il dolore, eccola la malattia, magari un tumore dell’anima. Ecco l’imprevisto, l’angoscia che opprime e che può annientare. Termina un matrimonio? La soluzione più ovvia e consueta pare essere: prenderne atto e guardarsi attorno.

Quando ho dovuto lasciare la casa di famiglia per venire in questo mio eremo odierno, ho rimesso la fede (o, come si dice in Portogallo, l’alleanza) al dito.
Non la portavo anche perché non entrava più all’anulare, come spesso accade. L’ho messa al mignolo e qui sta oramai da anni. Con affetto mi si è fatto notare che l’anello al mignolo è orribile. È vero: è orribile come lo è la situazione. Dice la non reciprocità, dice il dolore, l’anomalia, urla la spaccatura.
Significa: coniugato con sposa divorziata. Quasi come matto che continua a vivere un’esistenza finita.

Son passato nel dolore di Daniela. Nella prostrazione, nelle notti insonni, nella mancanza di respiro.
E il mio vivere attuale mi nasce sì dalla certezza di conoscere chi ho sposato, una creatura splendida, ma principalmente dal voler vivere sino in fondo nel progetto di Dio sul mio matrimonio.
Se ogni umano è sostanzialmente il disegno di Dio su di lui, col sacramento del matrimonio nasce un progetto di coppia, che racchiude i due singoli, li completa, li amplifica, li conduce per altre inimmaginabili dimensioni…
Sembra assurdo, ma nel momento più tragico della mia vita ho capito che questo passava attraverso la volontà della mia sposa. Ovvero, come lei mi chiedeva: la morte del tutto, il divorzio.

Il male non è mai volere di Dio, è sua permissione, avendo donato all’uomo la libertà come bene primario.
Nel tempo e nel sangue ho imparato che, se hai fede, tutto quello che Dio vuole o permette concorre al bene.
Che non significa: domani, in altra vita.
Ma pienamente: qui e ora.

(foto mia, Umbria 2006)