venerdì 24 maggio 2013

Caligola

ERRATA CORRIGE: mi ha scritto il Direttore, evento raro. Col suo garbo che ben conosco mi ha fatto una tiratina di orecchie, e a ragion veduta: nello scorso post cito Innamoramento e amore come opera di Erich Fromm… essendo invece di Francesco Alberoni! Gravissima la mia confusione, di solito ricontrollo tutto per bene, ma qui ero andato a memoria (fallace) tranquillamente. Fromm ha altri testi importanti, sempre molto in auge in quegli anni: L’arte di amare, Avere o essere… (mi sa che dovrò rileggermi tutto). Chiedo venia ai lettori (e al prof. Alberoni)!
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Nel mondo della separazione di dolore ne circola sempre tanto. Di vario genere, ma molto spesso generato da torti che si subiscono. Ultimamente ho avuto una corrispondenza con un’attenta lettrice: “…passano i giorni, tra un dolore, difficoltà, rabbia. Si va avanti così, forse questa é la mia vita, la vera vita. E ho solo vissuto in una bolla di sapone. Tanti anni di matrimonio, poi la separazione. E’ mio marito nel bene e nel male. Ma siamo separati, preferisce altro. E ora come ora a me dispiace sopratutto per mia figlia che, come tutti i figli, non merita anche questo dolore e questa situazione sgradevole. Sì, perché gestire una situazione così é schifoso: non voglio che mia figlia sia il pacco postale della situazione. E mi viene mal di pancia a pensarci, e rabbia. Di recente sono ricaduta, sono tornata indietro di qualche passo, facevo progressi, ed invece... fortunatamente alcuni amici hanno ascoltato il mio ennesimo sfogo di rabbia. E’ successo un episodio spiacevole e, anche se spero il più tardi possibile, temo che la piccola venga a conoscere l’altra. Che schifo, una modernità che ho sempre accettato tranquillamente ma per gli altri, non riguardo a me stessa. Alle volte penso che sarebbe forse più facile per me se fossi anche io" moderna". Chissà cosa Dio ha in serbo per me… insomma, una situazione senza svolta. La strada é sempre la stessa, dura, difficile. Piena di amarezze e difficoltà. E poi rammarico, sensi di colpa verso la bambina. Credo proprio di aver sbagliato, ero accecata, innamorata e ingenua. Aver creduto che il suo fosse un amore maturo e per sempre. Adesso mi sembrano tutte cavolate, cose da favole. Ma la vita é altra cosa. Rileggo spesso la tua mail. Anche ora, sempre sul fatto "sta male chi fa il male"… perché in questi giorni se ne è andato a fare un viaggetto, a divertirsi con la sua nuova vita, e poi a me piange che non ha soldi, che ama nostra figlia…”

Anni fa, ero a teatro. Uno spettacolo d’avanguardia, creato da un amico regista. Un lavoro difficile, molto elaborato e benissimo riuscito. Ad un certo punto una frase che mi trafigge: “Ognuno si arrangia come può...” Era stata la mia vita per anni! Chiedo lumi, è tratta dal Caligola di Albert Camus. Non lo conosco, lo cerco: “Ciascuno conquista la sua purezza come può… E’ strano. Quando non uccido mi sento solo… non mi sento bene che tra i miei morti. Quelli sono veri. Sono come me… Io vivo, uccido, uso il potere forsennato del distruttore… Questa è la felicità: questa insopportabile liberazione, questo disprezzo universale; il sangue, l’odio intorno a me…”

Subito pensai ad una persona molto potente, che ben conoscevo, che nonostante una notevole intelligenza viveva col cuore eroso dalla rabbia cercando soluzione nel seminare il male. Impossibile, infatti non aveva mai pace. Sopravviveva con malvagità, ossessionato dal cercare sempre il male altrui.

Mi trovo ultimamente sempre più spesso ad asserire che “chi fa il male sta male”. Mi sembra lapalissiano, ed invece tante persone quasi provano un senso di invidia per chi “se ne frega”, commette il male, semina dolore. Mi si ribatte che sta male chi lo subisce, il torto! Evidente, ma credo non ci sia paragone: tra il generare dolore e il subirlo, sta peggio chi lo genera. Sembra strano a dire, ma posso assicurare che è così. Dipende da come si vive il dolore subìto, non altro.
E poi, onestamente: pensare che “chi fa il male sta bene, beato lui” significa dire che Dio non è. Negare il bene, negare Dio-Amore. D'altronde è pure vero il contrario: chi fa il bene sta bene, può stare bene.

Gandhi dice: “Non posso farti del male senza ferirmi, siamo una cosa sola”. 
Siamo una cosa sola?! E allora cosa è possibile ancor più col sacramento?

(foto mia, Umbria 2008)

giovedì 9 maggio 2013

L'innamoramento e l'amore

Una domenica di pioggia, siamo fuori stagione, son costretto a cambiare programmi. Mi invento di fare un dolce per i ragazzi, in base a quanto ho disponibile.
Poi incidentalmente, tra una telefonata e un’altra, sul web mi trovo sotto gli occhi un titolo che non posso sorvolare: Non mi sposerò più. È di un blog ove si commenta un libro appena uscito, scritto da una giornalista che presumo stia vivendo dentro questa follia. Mi sento molto coinvolto e cedo alla tentazione di scrivere, dissentendo da quanto leggo: “…no a quei giuramenti assoluti su un sentimento che invece è tanto fragile… Bastava non essere sposati, bastava non credere in un ideale romantico”.

Ho la sensazione che in giro ci sia un poco di confusione. Perché dire “solo” di un sentimento, riguardo al matrimonio? Certo che è fragile, anzi fragilissimo: come può tenere in piedi una vita insieme? Questa società pare aver dimenticato l’altro aspetto del matrimonio, che è l’impegno. Ovvero: l’amore.
La mia generazione, tantissimi anni fa, parve apprendere molto dall’Erich Fromm di “Innamoramento e amore” (di cui non ricordo praticamente nulla) ma già il titolo dice tutto, comunque.
Oramai ci si ferma sempre e solo alla prima parte, l’innamoramento che, appunto, è altro dall’amore. Fondamentale nell’inizio di una relazione, ma se poi non si evolve in amore? E come è possibile vivere assieme un’esistenza?

Tempo fa mi trovai nel pieno di un’ennesima discussione tra due persone a me care. Reciprocamente si dicevano, anzi si urlavano, che se quarant’anni prima avessero saputo come era fatto l’altro… e tutto terminava con la classica imprecazione: ”Maledetto il giorno che ti ho sposato!”

Mi piace ricordare un grande uomo, Spartaco Lucarini. E una sua frase, tra le tante: “Il matrimonio comincia quando non si ama più la moglie solo perché piace, ma perché è la moglie”. Sembra una provocazione, specie di questi tempi. È la perfetta antitesi al “sentimento” imperante. Ma da quel che capisco direi che è proprio quanto serve, e troppo spesso manca, ai rapporti coniugali (e lo comprendo molto bene, dormendo solo da quasi dieci anni... non proprio una tranquilla passeggiata).

Che poi questa cosa va spiegata bene, e forse manco si comprende, se non si vive. Perché ad un certo punto l’amore produce innamoramento: dopo il passaggio sentimento / impegno… ritorna pure il sentimento! Il frutto dell’amore è infatti l’innamoramento, ovvero il sentimento profondo che non teme oblii né maremoti del cuore. Ovvero la realizzazione piena, che è sentimento e impegno, innamoramento e amore…

Il blog di cui sopra ha, tra i vari commenti: “Matrimonio stranezza sociologica. Mi appare una stranezza senza capo né coda. Privarsi della propria libertà. Volersi privare del proprio per spartirlo con qualcuno. Non solo i soldi, ma soprattutto lo spazio e il tempo. Se si è sposati, immagino che almeno un po’ di tempo insieme bisogna passarlo, inevitabilmente. Addirittura spartire il letto. Mi prenderebbe l’ansia e la claustrofobia solo a dover dividere la stanza, figuriamoci il letto. Non si è signori e padroni neanche di una stanza e di un letto. Razionalmente, credo che alcuni si sposano (o convivono) quando pianificano di avere figli, perché è già pesante in due, figuriamoci da soli. Forse alcuni si sposano perché si usa, come scrivono parecchi commentatori, ma anche ciò mi è incomprensibile. In fin dei conti è bello che siamo tutti diversi e ognuno con i propri gusti e stranezze”. 

Già tanti anni fa, Alberto Sordi, alla ricorrente domanda sul suo non sposarsi, soavemente rispondeva: “Cheee? E che mi metto una sconosciuta dentro casa?” Praticamente, un precursore dei tempi.

Ma certo che sposarsi oggi è follia piena, evidente. Non ci sono più le certezze (?!) di un tempo, di solidità, di fedeltà, del “per sempre”. E forse è ancora più bello e più vero sposarsi oggi.
Auguri a chi lo fa, controcorrente. Ma soprattutto: testa sulle spalle, consapevolezza estrema, sincerità assoluta, disillusione e tanta capacità al sacrificio. E il “per sempre” può realizzarsi. Con grande gioia e pienezza di realizzazione. 

Altrimenti chiamatemi, che vi spiego tutto (beh, quasi!) il negativo che può esservi tra un uomo e una donna. E come farlo divenire positivo.
Insieme. E per sempre.

(foto mia, Assisi 2009)

giovedì 2 maggio 2013

Le cose di prima

È diverso tempo che non pubblico. Ne ho coscienza piena, e un quasi senso di colpa, sottile, che tutti i giorni mi rammenta di questo mio impegno.
Vero che potrei scrivere più rado, e più spesso.
Forse il web richiede più questo che il mio scrivere elaborato, figlio di sentimenti e situazioni del cuore. Vedremo.

In questo periodo di latenza ho scritto diversi post, dopo non chiusi come avrei voluto. Son lì, sospesi. Poi il pensiero che dovevo scrivere, che c’era qualcuno che da qualche parte aspettava di leggermi, cosa bellissima e piacevole, alla fine soffocava tutto divenendo una responsabilità troppo grande. Insomma, una inconcludenza insolita, che però vedo positiva. Un concentrarsi sulla vita, sino in fondo.
Mi trovo impegnato in cento cose. Non ultimo: sto, lentamente purtroppo, rimettendo in funzione la mia vecchia camera oscura, son circa trentacinque anni che attende. Ma forse i tempi son davvero maturi. Torno alla fotografia analogica, al mio amato bianco e nero in cui avevo acquisito una certa maestria. Controcorrente, rispetto al dilagante digitale, che mi è comunque oramai insostituibile per tanti “usi generali”.

Oltretutto ho vissuto giornate estremamente difficili, in cui il peso del quotidiano sembrava intollerabile. Situazioni forse banali che però divenivano ingestibili. E alla fine rendersi conto di dover in qualche maniera rigenerarsi a vita nuova, ancora una volta. Mai si è arrivati, sempre si ricomincia. E qualche volta un poco di più. Nuovi equilibri interiori, nuovi orizzonti, sempre meno confinati.

Ma ho consapevolezza piena della vita: la mia, le nostre vite, che stanno rapidamente passando. Vite non facili a volte, con spaccature profonde e forse senza guarigione. Per me auguro che alla fine solo contino tutti i milioni di “momento presente”, di istanti susseguitisi nella mia storia in cui ho messo Iddio prima di tutto il resto.

Negli scorsi giorni una canzone di Roberto Vecchioni mi pareva molto vicina al mio vivere, “Le rose blu” (facile ascoltarla su youtube). E il suo presentarla ad un concerto (è riferita ad un figlio, ma la leggo più in generale): «Adesso farò una cosa che non è nemmeno una canzone.. è molto di più... ed è una cosa nata in un momento di grande sofferenza nella vita di uno dei miei figli... Non credo che esista al mondo un dolore più grande di vedere soffrire una persona che si ama... soprattutto se è un figlio... Te ne stai lì... ti chiudi... il sangue che scorre... i nervi si accavallano... i muscoli fermi... E allora mandi una preghiera che sembra una bestemmia... o una bestemmia che sembra una preghiera... all’unica cosa che pensi che ti possa ascoltare... che poi si chiama Dio... e devi dare a Dio tantissimo per avere in cambio qualcosa per tuo figlio... non gli puoi dare in cambio solo la vita... è troppo facile... e allora gli dai in cambio tutto quello che hai vissuto... che è differente... come se non avessi mai amato... mai sognato... mai cantato... mai visto una donna... mai visto un bambino... mai visto la primavera... mai visto il mare... come se non fossi mai nato... oppure fossi nato ma come un lombrico... un verme... una schifezza di essere... e gli chiedi in cambio... per questo dare via tutto... quell’altra cosa... Perché arriva un momento che non te ne frega niente della bellezza della poesia... e i sogni... e di tutte le piccole cose importanti che hanno fatto la tua esistenza…»

Poi, dalla liturgia domenicale, l’Apocalisse di Giovanni: “E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate». 
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»”.

(foto mia, Norcia 2007)