sabato 21 febbraio 2015

Il più freddo inverno


Inverno pieno, le giornate hanno preso ad allungarsi, oramai si è svalicato.
Capita di ripensare ai tanti miracoli vissuti, specie nei primi tempi, qui nell’eremo, nella nuova vita da solo.
Ho incredibilmente ricordi vaghi e stavo davvero come uno cui è appena passato sopra un carro armato. Non so proprio come ho potuto vivere quegli anni. E forse nemmeno si può capire. Espropriato di tutto il vissuto, anche la casa andava tutta inventata, dai bicchieri ai mobili, tutto. Avevo qualcosa di biancheria di mia madre, e pure qualcosa delle nonne (lenzuola centenarie oramai!).
Mi giunse inizialmente il grande dono di un letto matrimoniale con tanto di materasso da Alfonso e Patrizia. A loro avanzava, ma forse no: era il modo per farmelo accettare.
Ma il dramma vero era il tetto, ci pioveva in parecchi punti e solo dopo due inverni ho potuto sistemarlo, quando finalmente è arrivato un ulteriore prestito, oltre il mutuo iniziale.

Una mattina d’inverno nel sottotetto, la mia camera da letto, il termometro segnava 4 gradi. Decisi di andare a dormire al piano sotto, era un poco meglio. Poi la notte mi svegliai che mi girava tutto, vomito. Dal cellulare non riuscivo a chiamare nessuno: non vedevo. Se mi alzavo cadevo.
Forse era giunto il mio momento. Prima o poi arriva, sempre. Certo qualcuno mi avrebbe cercato, prima o poi.
A Maria, sempre presente, dissi che tutto era nelle sue mani. Sereno, caddi nel sonno, ma poteva essere altro.
Poi all’alba quasi, presi conoscenza e con dolore riuscii ad alzarmi barcollante ma senza cadere. Chiamai diverse persone, ma solo un amico, dopo tanto, si svegliò. Venne a prendermi col suo fuoristrada e mi accompagnò in ospedale.
I medici al pronto soccorso parevano scettici, poi una dottoressa pensò di farmi camminare dritto e con gli occhi chiusi… e caddi. Ricovero immediato in Neurologia.
Mi venne a cercare il primario, cortesissimo:"signor Paolo, sembrerebbe un ictus, però dobbiamo fare altra indagine per avere conferma". 
Su un immenso monitor guardai insieme a due medici tutto il mio cervello. Non era ictus.
Venni poi dimesso con una diagnosi col punto interrogativo, dato che nulla si capiva chiaramente. Presunto problema al sistema auricolare. Forse pure il freddo aveva la sua parte. Ma forse pure lo stress.
Comunque tornai a casa il 24 dicembre. Si festeggiò Natale in qualche modo. Scrissi una lettera ai figli.

Questo inverno attuale è oggettivamente molto meno freddo dei passati, eppure vivo un freddo glaciale, più che mai. Forse la solitudine, forse gli anni. Certo, non sono fatto per vivere solo. Bambino e poi giovane trepidante, sognavo la fine della mia solitudine come in una grande liberazione, sino a quando a ventisette anni siamo divenuti due in uno.
La bellezza dell’insieme. La unicità, la profondità. Il cuore proteso oltre.
Poi il sangue, la solitudine vera. Il freddo reale.
Un solo disegno che si dispiega, nel tempo, nell’inimmaginabile, sino a questo scrivere.

Mi è giunta una mail, riguardo a Margherita C.: “…ti scrivo, ora, non per approfondire il tema del vangelo e dell'Amore come rivoluzione pacifica e colorata che può cambiare il mondo, probabilmente ciò tornerà così evidente in questi tempi bui, ma per ricambiare il dono che sempre porti, ovunque tu ti esprima, quasi un carisma personale che Dio ti ha donato, ed è il dono di rivestire di carne umana l'Invisibile. 
Alcuni anni fa, come fugge veloce il giorno! -, organizzasti un rendez vous con alcuni protagonisti di quegli anni, con alcune figure, per me ancora notevoli, di quell'avventura della mia adolescenza; evento cui fui anch'io invitato. 
Ad un certo punto… per me fu un'improvvisa illuminazione, si aprirono le porte della percezione, in un istante compresi con tutto l'essere ciò che fino allora avevo assorbito senza averne una piena comprensione, oppure solo una comprensione mentale: la bellezza, l'intensità, la grandiosità per noi di quei nostri anni… concludo ringraziandoti per avermi ancora una volta riportato a quegli anni, a quell'atmosfera, a quel vissuto nei solchi del Vangelo; ma, soprattutto… di avermi ricordato quanto collettivamente abbiamo vissuto e costruito, creduto e sperato, dato e ricevuto amore fraterno, sperimentato per lunghi tratti un modo diverso di essere società, comunità, relazioni significative in movimento, persone amate e accolte sine qua non…
Non ci saranno fallimenti personali o collettivi che potranno rendere nullo l'autentico vissuto. 
Ciao, Paolo. Il Signore ti sostenga nel martirio dell'amore. Fino ad oggi c'è riuscito! E sii memoria viva, ancora.” 

(Foto mia, Umbria 2015)

mercoledì 4 febbraio 2015

Margherita C.


Correva l’Anno Domini 1970.
Nel pieno dei miei 16 anni.
La prima contestazione giovanile era ancora nell’aria, le istanze rivoluzionarie e il bisogno di cambiare il mondo erano cosa di tutti i giorni. Nelle scuole si scioperava per tutte le ragioni possibili (e pure impossibili).

Avevo vissuto un ’68 tutto mio, lo avevo molto radicato dentro. Ricordo le mie angustie agli omicidi di Martin Luther King e di Bob Kennedy. La giustizia sociale, ma soprattutto - e mai se ne parlava: l’amore come soluzione finale. Il Vangelo. È di quegli anni il mio leggerlo e rileggerlo, quasi a impararlo tutto. Poi ci stavano Giuseppe Ungaretti e Ignazio Silone. Non erano Vangelo nudo e crudo, ma tutto di loro sempre lì mi riconduceva.
Forse mi nacque allora, ma decisamente inconscio, quanto affermai tanti anni dopo ad una caro e sapiente amico durante una passeggiata nei boschi svizzeri: “Sento il bisogno di far incontrare, di far toccare Cielo e terra”. E lui: “Figlio mio, e a chi non piacerebbe?

A sedici anni avevo già vissuto… tanto. E quello fu un anno proprio difficile.
Corsi anche il rischio di cambiare modalità di lotta, che tanto pareva impossibile cambiare pacificamente. La sola rivoluzione che alfine rischiava di apparire concretizzabile era quella cruenta. Ricordo che in casa litigavo con i miei vecchietti di continuo, tutte le occasioni erano buone. Eravamo mondi davvero lontani.

Nel mio palazzo abitava una anziana signora, Margherita C., classe 1900. Mai sposata, aveva affetto per me e mio fratello. A Natale avevamo sempre suoi regali. Un suo LP di Jimi Hendrix devo ancora averlo qui in giro… sarà inorridita nel comprarlo!?
Un giorno, incontrandomi, mi disse di una rivista cui era abbonata e che desiderava farmi leggere, poteva interessarmi. Si chiamava Città Nuova, ed era proprio strana, anomala. A me capitava di leggere altre riviste, credo Panorama, forse pure l’Espresso. Ma questo giornale era davvero particolare. Positivo, si parlava di vita vissuta, di Vangelo possibile e comunitario. Impossibile!? Io avevo oramai forti antipatie per i “cristiani della domenica”, e qui invece gente che parlava di Vangelo come le proprie tasche.
Ero sotto shock: questa la vita che sognavo, più leggevo e più ero affascinato. Attendevo trepidante che mi arrivasse la rivista. Certo avrei dovuto parlare con questa gente, ma la sola via era andare direttamente al giornale.
Erano altri tempi davvero, ed ero proprio giovane. Stavo titubante: vado, non vado, quando trovai una serie di indirizzi. Anche a Roma, anche nei miei paraggi (trenta minuti abbondanti a piedi).
Erano i primi di luglio, telefonai. Appuntamento il giorno dopo con un certo architetto. Mi presentai puntualissimo. Lui poi mi raccontò, e quanto ci abbiamo riso - è poi stato mio testimone di nozze, che vedendo alla porta un giovanetto pensò che capitava inopportuno, dato che aspettava il "signor Ricci" e non poteva dividersi!
Beh, chiarito il qui pro quo… ricordo solo che ci fu una specie di rapimento in Cielo.
Avevo trovato il Tutto, era lì la pietra filosofale, il fine di ogni mia ricerca di Verità. La Verità dei 16 anni, almeno quella dei miei tempi: una cosa seria.
Tornai a casa con una sensazione forte, e la ricordo molto nitida: se ne fossi stato capace avrei fatto capriole, ruote, piroette, salti mortali, invece che camminare... Ma li facevo comunque nel cuore festante.
Ai primi agosto ci stava un convegno di questa gente all’Aquila…. Era preciso per me! Mai mi avrebbero permesso di andare altrove, ma lì quasi giocavo in casa! Avevo qualche piccolo risparmio: ricordo che attraversai Roma, sino a viale Trastevere, e con diecimila lire acquistai una tendina canadese, quella più economica possibile. Mi attrezzai alla meglio e partii.
Ai bordi del campo sportivo dell’istituto Salesiano piazzai la mia tendina e vissi la settimana incredibile che cambiò il mondo, il mio mondo.

La prima svolta fu che in casa cessarono quasi di colpo i litigi. Evidente che dipendeva da me, tutto sempre dipende da me. Certo, le cause magari stavano sempre lì, ma era il mio vivere diverso che cambiava tutto.

Dopo ben 45 anni, questo mio ricordare di stasera nasce dall’esigenza, improvvisa ma ineluttabile, di ricordare Margherita C. Non so quando sia partita, oggi avrebbe 115 anni.
A lei giungano queste righe: le sono dedicate con gratitudine.
Ho con lei un debito grande, devo ringraziarla ancora. Ma certo riuscirò a farlo direttamente… è solo questione di tempo.

(Foto mia, da un dono recentemente avuto da persona a me sconosciuta - che ringrazio!)