lunedì 11 febbraio 2013

Chi saprà mai ridire


Sono in treno, sta imbrunendo rapidamente, sulle cime delle montagne lassù tanta neve. Non ho il mio solito pc, scrivo col pennarello verde dono di un’amica. Ho il cuore che trabocca, scrivo.

Altro week end d’amore. Son partito ieri mattina molto prima dell’alba, tornerò a mezzanotte se tutto va bene.
In una condizione di vita “normale” il sabato mattina non sarei andato, circondato da ghiaccio, a prendere un treno per recarmi lontano: sarei stato nel mio letto, con la mia sposa. Per poi alzarmi con comodo, preparare il caffè, portarglielo a letto.
Invece vivo in un film incredibile, che non ho scritto io, e nemmeno immaginato.
Per essere sicuro di svegliarmi ho messo due sveglie, e chiesto a mio figlio di telefonarmi: sta dall’altra parte del globo, per lui è pieno giorno. Ma tanto ero sveglio!
Tra l’altro negli scorsi giorni ho avuto un piccolo incidente domestico, e credo di avere una costola lesionata, in un punto molto doloroso. Pomate e antidolorifici, nulla pare attenuare. Ma credo faccia parte del gioco pure questo.

Da qualche tempo mi trovo a vivere realtà più grandi di me. O forse le vivevo già, ma diversa è la consapevolezza.
Quando incontro esistenze con dolori, tanti e immani, e l’animo mi si apre e pare non avere fine.
Quando incontro lacrime e sorrisi, sorrisi “anomali” che scaturiscono da vite immolate all’Amore, con radici a volte “umanamente” impossibili.
Quando stabilisco rapporti, istantanei e abissali, con persone mai viste e di cui poi scordo il nome (ahhh i miei poveri neuroni sofferenti... vorrei però dire con Ungaretti “ma nel cuore nessuna croce manca”!)

So che il dolore dell’uomo, e più della donna, è realtà troppo grande per le mie forze, ed entrarvi dentro è il minimo possibile. Vorrei avere la bacchetta magica e riunire sposi e famiglie. Toglierei tutti i dolori, tutti, pure quelli di chi il dolore lo genera, e poi lo soffre più grande ancora.
Ma tutto ciò è assolutamente impossibile, e pure sbagliato: Dio ha donato all’uomo la libertà, e nessuno può toglierla. Che poi conduce ove vuole, e il dolore sulla terra è tanto.
E di questo si parla, del grande “Perché?” che tutti, ovunque, accomuna.

C’è un clima particolarissimo: tutto questo dolore in circolo, il più delle volte risolto e fonte di vita, crea atmosfere indicibili. Questa è la realtà vera, ove l’amore vive reciproco, sanificante, indisturbato.
Quando poi son partito avrei voluto abbracciare e baciare tutti, uno ad uno. Ma lo faccio ora: grazie a voi!

Le dinamiche dell’Amore. Mi rendo conto che è molto, molto più il ricevuto di quel poco, eventuale, donato.
       Era lì tra noi il cuore del mondo,
       perché lì era la croce del mondo,
       perché lì era l'amore del mondo.

E mi risuona dentro, impellente, prepotente, e viene da lontano: “Chi saprà mai ridire le infinite bellezze e novità, gli orizzonti sterminati che contempla un’anima abbandonata all’avventura divina della divina volontà?”

(da una foto mia, agosto 2009)

domenica 3 febbraio 2013

La piccola e quotidiana compressa

È il secondo anno consecutivo che accade. Un programma che salta di nuovo. Una cosa che si può realizzare solo in pochi giorni dell’anno, e poi bisogna aspettare quello dopo.
Andare in montagna a camminare con le ciaspole ai piedi, di notte, sulla neve. Con la luna piena, ovvero: illuminati a giorno. Esperienza da fare, nella vita! E quest’anno proprio ci tenevo ad andare, dopo aver ben valutato i pro e i contro.
Poi è accaduto invece che son stato male, il giorno precedente ho dormito quasi ventiquattrore di fila, con febbre alta e forti coliche.

Sono decenni, che vivo così. Con l’incognita assoluta dei miei giorni futuri. Non so se e quando riaccadrà, anche se oramai ho individuato una quasi periodicità. Tempo perso, giornate intere che volano via tra sonno e coliche appunto, programmi che saltano, la vita si blocca. Tutto si ferma, e tutto si ripete. Anche uno starnuto può essere un supplizio. Ci convivo, mi ci sono abituato, anche se ogni volta ci sarebbe da piangere e urlare.

Dopo aver provato di tutto e udito diagnosi di vario genere - fino allo sfottìo di qualche medico che risolve con “psicosomatico” sottintendendo “matto” - tre anni fa si era finalmente individuata la causa, una rara forma di febbre ereditaria.
E quindi la cura, la sola cura che pare esistere, una compressina da prendere tutti i giorni per tutta la vita. Molto molto meglio: ricadute una, due volte l’anno, ma in forme molto leggere. Una specie di paradiso dimenticato!
Poi dai controlli periodici emerge che questa medicina sta creando danni gravi. È tossica, si sapeva. Ma non a questo livello. E quindi che fare?
Vivere meglio, ma sicuramente meno? Oppure vivere un po’ di più, magari, ma con questi intercalare continui ed estenuanti? Tutto sospeso al momento, da capire e decidere.

Debbo dire che questo star male mi ha forgiato, in qualche modo, anche se è sempre un’esperienza dolorosissima. Mi rendo conto che posso capire il dolore altrui, condividendolo in me profondamente, inevitabilmente. Quando ti senti morto, e lo sei davvero in questi momenti, tocchi davvero il fondo del pozzo. Quante volte ho chiesto: perché? Perché proprio a me? Che poi son le domande eterne dell’uomo davanti al dolore, me le son ritrovate precise anche con la separazione.

Tempo fa parlando con giovani amici, angustiati al pensiero della fine, dissi che io son morto tante volte... Ma non ho potuto spiegare, forse non era nemmeno il caso. Loro l’hanno presa come una delle mie boutade. Ma è invece realtà, dolorosa e vera. Ogni volta è morire.

Ma poi ogni volta un ritorno alla vita gioioso, una quasi resurrezione del corpo. La vita comincia, ricomincia ogni volta che riesci a stare eretto, che senti la muscolatura tornata normale, puoi dilatare i polmoni e respirare profondo.
Ogni volta è un’alba nuova del mondo. E Dio è.

(foto mia, Umbria 2009)