Qui nel mio eremo ha appena iniziato a risuonare la Messa da requiem di Luigi Maria Cherubini. E' la sensazione di oggi, di ora. E capita di avere bisogno di questa musica che contatta il Cielo e la terra senza posa.
Tornando dal lavoro mi son trovato commosso, manco vedevo più la strada, e meno male che aveva smesso di piovere. Tante lacrime, ma non amare, solo d’amore.
Mio figlio e la sua sposa sono a Fiumicino, in partenza per nuova avventura. Stavolta nel profondo sud America, a dodicimila km da qui. Ricordo che iniziò lo studio dello spagnolo - dopo l'inglese e il francese - al pensiero che era la lingua più parlata al mondo, e quindi non poteva non conoscerla… pare avesse tutto già segnato.
Loro sono contenti, seguono la loro strada. Non facile, anche se motivo di soddisfazioni profonde.
Io tifo per loro, ma certo le distanze ci sono. Anche se loro le hanno in qualche modo accorciate, già col loro sposarsi.
Figli di questa epoca, diversa dalla mia… ah! cosa ne direbbe mio padre, che era altro mondo ancora!
Penso alla dedica che stò figlio ha apposto sulla tesi di dottorato. Prima giustamente ci stava una dedica in cinese, poi altre in italiano e pure in francese: ai genitori, e poi, inaspettata, che poco li ha conosciuti: “Ai miei nonni, che sono sempre con me”. Credo sia profondamente vero, per quanto gli volevano bene.
Sono stati qui una cinquantina di giorni, pochi ma tantissimi rispetto allo zero. Di passaggio, dopo gli anni in Giappone. Abbiamo vissuto un Natale davvero diverso, anche se ancora qualche tassello pare mancare al Natale stereotipo (beh, non siamo proprio una famiglia alla Mulino Bianco!).
Ma devo dire che la famiglia è sempre più vera. Sarà che ci ho lavorato, sarà che li ho visti contenti, sarà che ieri sera c’è stata forte commozione al saluto dei nipotini che già quasi dormivano nei loro lettini.
Ridendo mi hanno rimproverato che li vizio! Ma come esimermi? Ho insegnato loro che esiste il Campari, e quindi il suo grandioso derivato Negroni. Ho cucinato quanto e come potevo, e mi è stato assegnato un virtuale e affettuoso "5 stelle Michelin". Siamo stati a fare turismo, col gelo e con la pioggia. Abbiamo insieme preparato ricette orientali e nostrane, giocato a carte sino al sonno, anche.
In questa fase natalizia avrei voluto “essere”, in calma, meditazione. La parte essenziale. Il silenzio. Quello necessario, che scandisce il tempo. Dice che un altro Natale passa, un altro anno sta andando. Il tempo che allontana ed avvicina. Il tempo che conduce alla Verità. Il tempo che è la sola cosa che l’uomo ancora pare non dominare.
Ma non è stato possibile “essere”, c’era da fare. C’era il dare, e quindi il “non essere”, per i figli.
Un anno raro, con tutti qui. Per la loro e anche per la mia beatitudine. Loro hanno bisogno di questa famiglia, seppur non integra. Ma pure io ho bisogno di loro, di amarli.
Bisogno di riaffermare che questa è una famiglia, vera, per quanto addolorata, sventrata.
Riaffermare che questa nostra è forse più famiglia delle altre.
Nasce al momento delle promesse, specie quelle che presto si dimenticano: nel dolore e nella malattia.
Cresce poi nel sangue, nella spaccatura si consolida.
Siamo in crescita, il fine è altrove. La vita non termina.
Ho conferma che gli ultimi confini della terra, seppur lontanissimi, sono oggi qui, da me, che tutto posso com-prendere e racchiudere ed amare.
Nelle lacrime non-amare… il filo che tutto lega, seppur poca cosa, è il mio cuore e il mio impegno.
Il cuore, come sempre.
(foto mia, Barcelona 2014)
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