Da anni seguo da vicino il web e la sua evoluzione, pur qualche volta con fatica. L’età comincia a sentirsi, e pensare che ho vissuto in prima persona gli albori dell’informatica in Italia. Il mitico Olivetti P101, le schede perforate, l’IBM 1130. Conservo da parte l’Olivetti M24, primo pc di casa: un piccolo gioiello di appena un quarto di secolo che tecnologicamente è come un millennio.
Ricordo quando sul web si cominciò a parlare di blog, e si faticava a capire cosa potesse essere nella realtà, quale la sua utilità. Oggi, per seguire un invito di amici, mi ci ritrovo dentro in pieno, lo uso come un diario condiviso, il diario della mia vita da separato al cospetto di Dio, della mia sposa, della storia.
Di recente mi è stato chiesto brutalmente: “Ma chi te lo fa fare? Sei matto? Mettere in piazza, sul web, cose talmente personali!”
Certo, è una situazione quasi da Grande Fratello. So bene di condividere con tanti, che conosco ma anche ignoti, ai quattro angoli della terra, cose che certo non direi a voce ovunque. E' il web, fai cose impensabili.
E ho tante buone motivazioni per stare qui a scrivere.
Potrei dire, per cominciare ridendoci su, ma neanche poi tanto, di uno slogan della contestazione giovanile (era il '68 o il '77? ahh, la vecchiaia!): "Il personale è pubblico". Ma non è questo.
La spinta vera mi suona dentro lontana nel tempo, dal Vangelo della mia infanzia: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!” e la sua logica conseguenza, in questo caso: “Scrivere è credere all’Amore”.
Ma c’è dell’altro. È Ignazio Silone, in “Ed egli si nascose”, edito da Città Nuova: “Quando uno è passato per l’inferno e torna tra i vivi, ha il dovere assoluto di raccontare quello che sa”. Parla della sua vita, ma anche di me.
Sono stato molto lontano, “agli ultimi confini della terra”, che non è la Patagonia ma è la terra di nessuno ove Dio pare impossibile, ove si sopravvive adattandosi, inventandosi e quasi drogandosi di tutto. Quando neanche tu sai più chi sei, e perdi la cognizione di te, delle cose, il senso del vivere, la meta. Si può vagare così per anni, decenni, la vita. Errabondo, nel Sinai deserto, assetato, tra idoli e miraggi.
Ho la sensazione di aver fatto il giro della terra, aver visto o vissuto quanto esiste di bene e di male. Son poi tornato al punto di partenza.
Un viaggio inutile, superfluo? Verrebbe da dire di sì.
Ma ho imparato a vivere il presente, senza guardarmi indietro. Senza rimpianti, crucci, tristezze. Mi dicono che Dio mi ama così come sono. Con i miei limiti, i miei errori. Deve essere proprio vero.
Certo, un viaggio straziante, immane. Lo definisco i “miei venti anni e oltre di deserto” un po’ rifacendomi ai quaranta del popolo eletto nel Sinai. Ma è la storia dell’uomo, dell’umanità di sempre.
Viaggio non inutile, non superfluo. Generatore di vita. Ma dipende solo da me, dal mio vivere il presente. Se ne faccio tesoro sono on-line col Creatore. Se rinnego, sono in loop, ho davvero sprecato la vita.
Scrivo, mi metto continuamente in gioco qui, dinanzi al mondo intero, perché so di quanto si possa stare male lontani da sé, dal disegno di Dio, dall’Amore. Son qui per chi è lontano dalla propria vita: posso testimoniare che farcela è possibile. Occorre tanto sangue ed onestà intellettuale infinita.
Alcuni lettori mi scrivono: poesia pura, mi hai commosso, grazie.
Se pure fosse una sola persona a leggermi, con cui nasce sintonia, a cui comunico il lavoro di Dio, i piani, le scoperte, le bellezze, quello che Dio fa da queste parti… beh, già sarebbe ben speso il tempo del mio scrivere.
Che poi è un infinito rimettere la palla al centro, una Grazia che stimola il divenire.
(foto mia, Umbria 2011)
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