domenica 14 agosto 2011

Il pulmino a nove posti

Sabato sera, quasi ferragosto. Sono in terrazzo a scrivere, è fresco, ho indossato una vecchissima maglia. Qui da me d’estate è una meraviglia, pur essendo in una regione che soffre molto il caldo. Ho cenato con carne di pecora, come si usa in Abruzzo in questi giorni. Ovviamente in solitudine.

Sono stato fuori casa otto giorni, una vacanza un pò particolare sulle Dolomiti. Viaggiato con un pulmino a nove posti, in compagnia di tanti giovanissimi. Nostalgia nel tornare sulle montagne ove nacque il mio matrimonio, in luoghi particolarmente belli. Solo, non come sognavo tornarci dopo ben trentadue anni. Poi quando tocca a me guidare, mi rendo conto che non ho qui la mia famiglia naturale, ma ho tutti questi ragazzi. Non avendo famiglia, le ho tutte. Mi sento la responsabilità delle loro vite. “Donna, ecco tuo figlio”. I miei figli, moltiplicati.

Giorni belli, famiglia grande. Vecchi amici e nuovissimi. Legami che si rinsaldano. Famiglie unite, figli. Nostalgia dei tuoi, della carne della tua carne. Siamo alle Tre cime di Lavaredo, uno dei posti più celebrati della terra. Ho il cuore sventrato, ma certo non si vede, vivo pienamente il presente. Non posso non scrivere un sms: “I wish you were here”. Alla mia sposa, ai miei figli, alle new entry nella nostra bella martoriata famiglia.

In questi giorni poi è accaduto un fatto inverosimile. Mi accorgo di stare senza fede al mignolo, l’anello di matrimonio col nome della mia sposa inciso, di cui avevo già scritto in gennaio, qui sul blog. Sparito, perso chissà come, nell'arco di un'ora. Ci tenevo, era la cosa che in questo momento diceva al meglio del mio vivere. Un segno esterno della fedeltà. Cosa significa? Barcollo. Fare come niente fosse? Sono esterrefatto ancor oggi, cerco di interpretare il segno, non capisco.

E qualcuno coglie al volo l’occasione per ripetermi ancora di voltare pagina: il destino! Certo, non vorrebbero il mio dolore, ma manco io lo vorrei, non sono masochista. Mi ero coniugato per invecchiare insieme, nella gioia e nel dolore. Quando uno si sposa mette la sua vita nelle mani di una persona in fondo sconosciuta, a scatola chiusa.
Tempo fa sono stato affettuosamente invitato a pensare al mio futuro: “Paolo, invecchiare da soli non è bello”. Lo so, dormo solo da 8 anni. Ma andrebbe detto alla mia sposa, non dipende da me.

Nel partire tanti piangono, specie giovani. Abbracci, impegni, promesse.
Il rientro a casa è doloroso per tutti, ma per qualcuno forse di più. Dopo tanta famiglia, fratelli e sorelle, si rientra nella solitudine profonda. Stavolta mi è drammatico più del solito, un buio nuovo, confusione.

Oggi come una luce, finalmente. Era lì da un po’, ma non riuscivo a entrarci dentro: “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”. (2 Cor. 5,17).
Cosa sarà del mio matrimonio? La risposta è qui: si aprono nuovi scenari, devo uscire dai miei vecchi usati schemi.

Tempo fa raccomandai a dei fidanzati di volare alto: la vita, il matrimonio. Guai a entrare in stallo, e scendere di quota: si precipita. Dio offre di volare alto sempre, come nei momenti più belli dell’innamoramento iniziale, quando tutto implode dentro.

“Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così” (2 Cor. 5,16).
Altre dimensioni, altro vivere mi attende.

(foto mia, Umbria 2006)

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