Sono stato tre giorni al mio paese natio. Sono andato con le nuove generazioni, il mio nipotino e i suoi genitori. Una esperienza nuova, bella. Non ho guidato, finalmente non ero solo in macchina. Ho dormito nel letto, nella stanza ove sono nato, come accade da quando i miei son partiti. Finalmente la casa viva, proiettati in avanti: una sensazione di rinascita. La vita avanza, e tutto a causa di questa creatura.
L’ultima mattina ero presto in piedi, non potevo far rumore e svegliare il piccolo. Dopo il caffè sono uscito in silenzio, sulla piazza davanti casa, le panchine erano in ombra. Odore di tigli, ancora: qui la natura esplode tardi, siamo ad ottocento metri tra le montagne d’Abruzzo. Ho con me il cellulare, sto collegato col mondo in tempo reale e ne approfitto per fare meditazione on line. Mi affascina la tecnologia che avanza e magari è utile all’uomo. Poi mi metto a registrare questi pensieri che elaborerò a casa in parole scritte.
Questa piazza che oggi ha un bel giardino al centro, illuminata con gusto di notte, un tempo era al limitare dell’abitato, c’era l’aia. Mio nonno costruì qui, con e per i suoi quattro figli maschi: grandi mura “a sacco”, con cemento e tante pietre provenienti da loro terre.
Qui sull’aia avveniva la trebbiatura, c’erano stalle, ricordo la battitura dei ceci con due bastoni legati da una catenella, poi il grande setaccio. Il vento alzava polvere e pula assieme.
In questi giorni ho fatto piccole manutenzioni che non facevo da anni. Con una sensazione di declino, morte, in cose cui papà aveva dedicato la sua vita: ora abbandonate, che vedo lentamente morire. Allo stesso tempo, coi giovani in casa, sento vita che avanza, specie col piccolo splendido: io sto in mezzo tra passato e futuro, anello di giunzione.
Ho incontrato persone oramai anziane che mi hanno visto bambino, son sempre lì sull’uscio. Sapevano che ero nonno. Grandi feste al bimbo. È Il paese. Da tanti anni mi vedono di rado, sempre solo, ma nessuna chiede, forse immaginano. O forse sanno tutto, magari distorto. Il paese, anche in questo.
Questo piccolo antico mondo, ove tutto pare fermo, ove tutto nasce qui e qui si risolve, si invecchia insieme, vicini. Come i padri, come sempre. Una famiglia allargata, nel bene e nel male.
Mi sento in qualche modo in queste realtà, pur vivendo in altre dinamiche. Con figli proiettati in avanti, specie il maschio che ha scelto di lavorare oltre la terra, altre galassie addirittura. Ho dovuto scrivermi e imparare a memoria il suo campo di ricerca. Ma senza aver capito cosa sia, ovviamente.
I miei giovani ancora dormono, e io continuo qui a dettare, meditare, al fresco del mattino. Passa una mamma che spinge un passeggino. Mi saluta: buongiorno. Non so chi sia, forse l’ho vista bambina. Lei certo in me vede un forestiero, saluta per prima. È abruzzese.
Poi più tardi, a fine mattina, con mia figlia passiamo al cimitero a salutare i nostri avi, è caldo tanto, lei mi prende sottobraccio e mi dice: “Eh papà, pensa, tu in un cimitero, mamma in un altro…” e io: “Chissà, figlia mia!”.
Sono anni che ci penso, a questo piccolo particolare della sepoltura “separata”. Ma non ci credo. Come non credo a questa vita separata che pur vivo, viviamo.
Il filo d’oro che ci lega è vivo più che mai. Dipende da me, come sempre.
(foto mia, estate 2011)
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