giovedì 17 marzo 2011

Antonella e il Giappone

Alcune sere fa la mia amica Antonella, attraversando la strada nel rientrare a casa, è stata investita da un'automobile e sbalzata via riportando un trauma cranico terribile. I medici hanno dovuto con urgenza tentare di non farle esplodere gli ematomi che si erano formati nel cervello. Una situazione disperata, la vita praticamente già dentro la morte, in coma terapeutico, con prognosi riservata. Siamo stati coinvolti in tanti, e seppur fisicamente lontani, abbiamo attivato tutto quanto era in nostro potere. Nei giorni scorsi ho incontrato i figli, due ragazzi più giovani dei miei, ci siamo abbracciati e ho letto nei loro occhi una vita diversa dal solito, una luce superiore, una crescita straordinaria. Vengo poi a sapere che Antonella ha mosso qualcosa, come stesse riprendendo vita. E il vecchio amico Marcello, compagno di tante sue battaglie sin da giovane, parlandole all'orecchio pare sia stato una concausa di questa reazione vitale.

Poi, nei giorni scorsi, la immane inenarrabile apocalittica tragedia del Giappone. Non avevo subito capito la portata del dramma, finchè non ho visto qualcosa via web. Il cuore stritolato quasi. Ho pianto tanto, posso dirlo?
Il premier giapponese aveva promesso nei giorni scorsi la rinascita del paese, dopo lo tsunami. Ma il dramma potrebbe essere solo all’inizio, si prospetta una catastrofe nucleare.
Dalle macerie della seconda guerra mondiale i tre stati perdenti e distrutti, Giappone, Germania e Italia, risorsero in maniere imprevedibili. Ma chissà cosa accadrà nell’immediato futuro: presumo che il popolo giapponese non si arrenderà di sicuro, sfoderando le migliori energie, se possibile.

Dal dolore sempre può nascere il bene, dalla morte la vita, come dalla notte il giorno. Tutti sappiamo che è così, anche se poi magari ci perdiamo nel quotidiano: si vive appesi a un filo, e si finge l’immortalità.
Tanti anni fa ero a Teramo per lavoro, in ritardo, e venni fermato da un corteo funebre. La mia irrequietezza si placò a seguito di una illuminazione, assolutamente improbabile a quei tempi. Ancora non era partito mio padre, e il mio rapporto con la morte era semplicemente “evitarla”, persino nel pensiero. Il lampo fu capire che morire in fondo era un dare vita a chi rimaneva, era un ammonire che esisteva “altro”.
In sintesi, ricordo: “si muore per ricordare la vita ai vivi”.

Antonella e il Giappone: cosa li accomuna? In me li fonde “come” li ho vissuti, da questo mio piccolo pezzo di mondo che però in qualche modo inspiegabile abbraccia l’umanità, coi dolori tutti e le lacrime e la morte.
Davvero “ogni uomo è mio fratello”, come diceva papa Paolo.
Se ho il cuore che mi funziona, se sono uomo.

(fonte foto: dal web)

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