venerdì 20 giugno 2025

Noi, che ci chiamano baby boomer /1

Canta Battiato: più si invecchia più affiorano ricordi come se fosse ieri...

(e qui risaliamo a 52 anni indietro!)

Ieri notte, nella mia oramai frequente insonnia, mi implode questo ricordo bello, impellente: primi di agosto 1973, il mio primo viaggio da solo in macchina, un'emozione forte. Avevo preso la patente appena possibile dopo compiuti i 18 anni, da privatista, come si usava all'epoca per ridurre i costi. Mio importante aiuto fu Antonio D., grande amico pur che abitava dall'altra parte di Roma, con la macchina della mamma. Una Opel Kadett color caffellatte che era sostanzialmente una derivazione di un panzer tedesco della guerra mondiale. Ma erano così le macchine tedesche, io poi presi una Ford Escort 940 due porte, struttura analoga, consumi da paura, ripresa zero e frenata idem; eppure sono ancora vivo, zero incidenti (seri). 

La mattina del 2 novembre 1972 eravamo nei pressi di san Giovanni, a Roma, con Antonio e la macchina della mamma (grande donna evidentemente, una che metteva la sua automobile a disposizione di uno sconosciuto amico del figlio), a fare l'esame pratico di guida. Avevo fatto le guide con la Kadett e con la 126 con Egidio S., un grande della storia che all'epoca non ero in grado di comprendere. Ma avevo 18 anni e capivo praticamente quasi nulla, per quanto la testa fosse piena di bei progetti.

Questa patente e la macchina disponibile cambiarono la vita mia e della famiglia, ora c'era una autonomia di mobilità, non era poco!

Quell'anno, 1973, dopo tre anni di Mariapoli fatti a L'Aquila all'Istituto Salesiano, c'era Assisi, la Cittadella... a me si apriva un nuovo mondo. Oggi ci vivo nei pressi, all'epoca mi era inimmaginabile.

Ho memoria certa di un viaggio mattutino, dopo aver a lungo studiato il percorso, con le cartine sul sedile destro, luoghi mai visti, strade sconosciute, e ci si poteva solo fidare dei cartelli, del senso di orientamento, e delle cartine che all'epoca erano la sola fonte di conoscenza del territorio. Credo di essermi fermato tante volte per verificare la strada, e di aver certo sbagliato. Cosa molto possibile, sbagliare strada... importante poi ritrovarla, pure nell'esistenza. 

Partivo dai pressi de l'Aquila e andavo ad Assisi, in linea d'aria non tanti chilometri ma sicuramente ci avrò messo parecchio, per cui arrivai ora di pranzo con grande emozione e gioia. Ritrovare il mio ambiente romano trasferitosi per l'occasione ad Assisi era cosa bellissima. Poi andare in Mariapoli significava andare nella città di Maria a costruire la città di Maria. E questo era il top, era il momento importante dell'anno. Quando andai la prima volta nel 1970, avevo 16 anni in piena immane grandissima crisi adolescenziale, ebbi una folgorazione radicale. Avevo trovato quello che serviva a vivere giusto, a vivere secondo i miei sogni. Si chiamava Ideale, a 16 anni scoprire l'ideale più grande possibile e vederlo reale e travolgente: notevole! Poi per carità, magari accade con gli anni che ti scordi tutto e vivi altro... evidentemente però la tua storia è quella. 

Ricordo un caldo atroce, acqua poca e calda, le dure salite per andare a dormire nella tendopoli piazzata in un oliveto di suore su ad Assisi alta. Ero con la mia tendina Callegari & Ghigi acquistata tre anni prima a 9.500 lire (sì, avete ben compreso: l'equivalente di meno di 5 euro di oggi...). Andai a comprarmela con i risparmi accantonati (!) in autobus, il mitico 60 che faceva capolinea a viale Trastevere, attraversando Roma in una calda ma per me euforica mattina estiva. Per la cronaca: la tenda ancora esiste e funziona, qualche anno fa l'ho montata per giocarci coi nipoti...

Ad Assisi c'era molto da lavorare per preparare, e certamente fui molto impegnato. Per il sabato sera mettemmo in scena il solito spettacolo, che però stavolta era una cosa un po' particolare, tale da rimanere nella storia, almeno quella nostra. C'era con noi Daniele R. con il suo musical Resurrezione da mettere in scena in prima mondiale. Chi suonava chi recitava chi mimava. Io fotografavo, of course. Ci fu un grande concorso di energie e il risultato fu memorabile, nelle nostre menti giovani. 

Poi la vita passa, a venti anni anni sei padrone del mondo perché hai ancora tutto da sognare edificare vivere. È giusto così.

Da quella memorabile mattina agostana ho viaggiato tanto, e troppo spesso da solo. A occhio in oltre cinquanta anni dovrei aver fatto almeno un milione di chilometri, e non ho vissuto in macchina per mestiere, anzi. 

Oggi, a viaggiare da solo non ce la faccio più, è un dolore per quanto banale. E viaggiare è probabilmente una delle cose più belle del vivere.

Del Viaggiare ne scrive Andrei Tarkovsky, che va ben oltre queste mie considerazioni:

C'è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore.

Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta.

Così come non credo che si viaggi per tornare.

L'uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato.

Da sé stessi non si può fuggire.

Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio.

Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza.

In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico.

Ovunque vada è la propria anima che sta cercando.

Per questo l'uomo deve poter viaggiare.


venerdì 22 dicembre 2023

Christmas (a.d.1997)

Queste righe nascono nel 1997, sostanzialmente figlie del vivere di quel momento. Mamma era partita alla vigilia del Natale precedente, io ero dentro uno dei periodi più drammatici della mia esistenza. Mi rivengono fuori adesso, al rendermi conto che nei giorni scorsi ho vissuto una situazione decisamente pericolosa per la salute... situazione analoga, probabilmente, ad un altro momento cruciale nel dicembre 2007.

La sola spiegazione che vedo: sei ancora qui, una specie di miracolato, vivi e canta del Dio che conosci!

E quindi, eccoci...

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"Tra tre giorni è Natale, non va bene e non va male..."

Tra tre giorni è Natale, si diceva, mentre nei meandri cerebrali cantavano le note sgualcite di una vecchia canzone di Francesco De Gregori.

Era giunto un altro Natale, arrivato improvviso, inatteso e, come sempre ultimamente, non certo desiderato. Erano anni, ormai, che non desiderava natali. Una volta avevano un senso, un motivo di vita spirituale. Significava rinascere, il Natale, una nuova nascita in spirito, come ricordava quel bambinello nella mangiatoia, circondato da due esseri umani di rara semplicità e da due animali ignari del compito che svolgevano, scaldare una nuova vita umana, di un bimbo che, ma mai l'avrebbero saputo, si dice fosse figlio di Dio, oltre che di Giuseppe e Maria.

Era buffo, ora, ricordare due vite ignote ma passate alla storia più grande della storia dell'umanità, la vita di un bue e di un asino che avevano scaldato, in una fredda e stellata notte di Palestina (ma c'è la tramontana in Palestina, a dicembre?) la venuta al mondo di un piccolo figlio di uomo. Passare dai trentasette gradi dell'utero materno ai quindici, dieci gradi o forse meno, di una notte invernale non è cosa piacevole, senza riscaldamento e abbastanza coperte. Eppoi era il primo figlio, nato in una situazione decisamente poco tranquilla, lontano da casa propria e da tutto il vicinato di Nazareth, in cui sicuramente c'era già pronta la praticona di turno, la levatrice dell'epoca, a far sgravare, aiutata da altre donne già cariche di figli e di affanni, quella giovinetta dall'aria inesperta e un po’ sulle nuvole.

Ma la storia volle che quel bimbo nascesse lontano, senza un vicinato chiassoso e curioso che sarebbe corso a guardarlo, magari per vedere e confrontare le somiglianze con Giuseppe, il falegname che lavorava il legno con la stessa mitezza con cui trattava i suoi simili. Era, Giuseppe, un caso particolare, secondo i suoi paesani. E' vero, anche Maria era tanto strana, ma era femmina, giovane, perciò non stupiva più di tanto il suo carattere disponibile, la sua religiosità profonda e trasparente. Ma Giuseppe no, era un maschio di Palestina, faceva un lavoro duro, un artigiano che doveva lottare per conquistarsi una clientela, seppure povera, che però gli avrebbe permesso un tenore di vita discreto. Di clienti ne aveva, ma non erano tanti quelli che lo pagavano. Magari accampavano scuse di imperfezioni dei suoi manufatti, oppure più semplicemente dichiaravano di non essere assolutamente in grado di pagarlo subito, forse un domani chissà... Non s'arricchiva il falegname Giuseppe di Nazareth, ma mai aveva saltato un pasto e, soprattutto, mai aveva alzato la voce e una parola dura nei confronti di chi non gli pagava il pattuito. Eppoi, agli occhi dei paesani era strano anche che lui, unico caso che si conoscesse, la sera se ne stava con la moglie, in casa o davanti casa, senza andare in una delle bettole della zona, come tutti i veri maschi, a bere e giocare e raccontarsi storie oscene.

Tornarono a casa in tre, e la curiosità del paese si sbizzarrì più del solito. Da quella coppia di svitati poteva solo nascere uno svitato più di loro, disse qualcuno bonariamente: una battuta che col passare degli anni venne ricordata dai paesani come una profezia...

Certo, se questa storia Luca e compagni l'hanno inventata di sana pianta sono stati veramente bravi, dei creativi pubblicitari ante litteram, si disse sorridendo a se stesso con leggero movimento delle labbra.

Tra tre giorni è Natale. Si vede dal traffico. Tutti infolliti, come sempre negli ultimi anni, o forse peggio, se possibile.

Tutto era fermo. Nell'aria resa torbida dalla nebbiolina serale e dal tanto smog, illuminata di rosso dagli stop delle migliaia di macchine che aveva davanti, sulla sua stessa strada, tutto taceva, tranne il turbinio dei motori accesi e i clacson e le trombe dei meno pazienti. Perciò era un casino, altro che pre-vigilia di Natale. Era riuscito ad estraniarsi da quella bolgia facendo una quasi meditazione su un fatto raccontato in alcuni libri da alcuni signori di tanti secoli fa, che ne avevano sentito parlare da altri tizi che ne avevano sentito dire... Ora però l'incantesimo era rotto. Il caos non l'aveva mai amato, era in ritardo all'appuntamento, tutta la città era fuori in macchina a comprare regali per festeggiare un banale natale, un natale di consumi e di spese futili e di regali inutili. Il solito natale in cui ognuno è solo con sè stesso e passa una giornata insulsa mangiando a crepapanza e bevendo più del necessario. Magari rivedendo parenti che non ama, non potendone fare a meno, e giocando a quella stupida tombola con cui giocava quand'era uno stupido bambino, tanti secoli or sono...

Decise di getto, vedendo un posto che si liberava in un parcheggio. Riuscì ad arrivarvi prima di altri e posteggiò, contento. Aveva deciso di proseguire a piedi, in un attimo, notando una macchina che liberava un posto ed andava ad inserirsi nell'interminabile e praticamente immobile corteo pre-natalizio. Era contento perché non camminava più da tanto tempo, perché sentiva il bisogno di uscire da quell'inferno terreno, perché gli sembrava finalmente una scelta di libertà. Ed infatti si sentì libero, si mise il vecchio berretto da navigazione in testa e gli stinti guanti di pelle alle mani. Camminare, in quella situazione, può essere persino entusiasmante, pensò guardando tutti gli altri automobilisti fermi e furiosi, in colonna. Era uscito dal mucchio, non aveva più un gruppo che gli dava certezze, era un pedone, un solo, finalmente dichiarato. Non come in automobile, che si è comunque soli seppur credendosi al sicuro dentro una scatola di latta a motore inquinante, con tutte le certezze di onnipotenza che ne nascono. Era solo, era un uomo solo in una città deserta di uomini. Solo gente frettolosa, con la mente alle compere e ai vari cenoni e pranzi natalizi, con occhi assenti rimbambiti da sfavillii di luci multicolori.

Prese a camminare di buon passo, e provò a fare lunghi respiri. Nei polmoni gli entrarono nebbia e smog. Ma era inutile, non avrebbe desistito, avrebbe continuato a camminare, si sentiva bene nella condizione di pedone. Gli parve oltretutto un modo di celebrare il Natale. Camminare a piedi in una città ingolfata! Certo, era una rinascita, prendere coscienza di sé, uscire dal mucchio e camminare! Si chiese cosa avrebbe fatto quel bambino lì, in una città così combinata... avrebbe camminato, o sarebbe rimasto in automobile? Ma, soprattutto, sarebbe poi nato e vissuto in un posto simile?

Camminando camminando si chiese quanti anni erano che non capitava più da quelle parti. Quella stazione la conosceva bene, ed ora era irriconoscibile, tutte luci e negozi invitanti, altro che lo stile severo ed autarchico del ventennio che lui ricordava bene! Si accorse del cambiamento anche dai barboni, anzi le barbone, che incontrò sulla via, sotto cartoni variopinti, che dormivano o morivano, tanto era uguale, sotto gli occhi che non guardavano di milioni di persone... Gente rassegnata, sopravvivente sopra a scarichi d'aria calda dentro cartoni di recupero, vite già finite. Si fermò più avanti, curioso, davanti ad un altro cartone, era o non era abitato? Qualcuno dei passanti rallentò per guardare lui, che si era fermato per guardare un clochard... no, il cartone era vuoto di vita spenta, abitato probabilmente solo di stracci, non c'era nessun morto dentro. Si chiese se avrebbe incontrato sotto un cartone anche una palestinese che stava partorendo un figlio di Dio. Sarebbe nato qui, oggi, sotto un cartone emarginato, non certo dentro un'automobile incolonnata per fare spese...

Giunse all'incontro con Elena con discreto ritardo. Lei lo attendeva con aspetto corrucciato, ma era naturalmente solo apparenza. Cercava di non far trasparire del tutto la sua indole, tentando camuffamenti improbabili anche per chi appena la conosceva. Risero entrambi di cuore, dopo un abbraccio denso d'affetto. Non si vedevano da tanto tempo, ma spesso si erano scritti. Appartenevano alla rara specie di umanità che ancora scrive lettere, seppure via fax od Internet, invece di telefonare. La loro vita ed il loro rapporto erano cresciuti paralleli, erano fatti l'uno per l'altra ma tardavano a dirselo, come se ambedue volessero gustare fino in fondo quella sorta di innamoramento iniziale che da sempre racchiude momenti magici, come ora d'altronde, con un vivere quasi da persone mature e non da giovani come essi erano.

Si dissero qualcosa del tempo e del ritardo e del traffico e del Natale incombente e dei regali. Lui voleva dirle qualcosa di ciò che aveva vissuto dentro nelle ultime ore, ma poi si disse che magari rovinava tutto, che lei comunque non avrebbe capito, ma poi si decise e le raccontò del bue e della Palestina e delle clochard e delle automobili... Sentì di aver fatto un passo grande, dentro, quando vide che gli occhi di lei avevano capito, erano saturi di commozione. 

In mezzo al caos natalizio di un'affollata e distratta stazione ferroviaria lei lo abbracciò, lo baciò, si baciarono, si abbracciarono, si dissero buon Natale, è questo il vero Natale, grazie di esistere, auguri veri... 


martedì 23 maggio 2023

La sommatoria

Un urgente bisogno di comunicare, unito ad una sensazione fortissima - e dolorosa - di tempo che passa, mi spingono tenacemente a (tentare di) riprendere a scrivere qui. Presumo uno scrivere diverso, perché questa è un'altra epoca dell'esistenza e io sono sì quello di ieri ma soprattutto la sommatoria di ciò che ero dieci anni fa e ancora prima e soprattutto oggi.

Probabilmente sarò ridondante ripetitivo magari pure antipatico. 

Uno stimolo a scrivere mi sorge da Battiato "che cosa resterà di me del transito terrestre, di tutte le impressioni che ho preso in questa vita....". Ecco, proviamo a lasciare qualche altra impressione!

E sempre vero comunque rimane il mio Silone quando asserisce: Chi è tornato dall'inferno ha il dovere di comunicare. Il mio ritorno dall'inferno risale oramai a una ventina d'anni fa, però quei tempi di deserto duro sono più che mai parte del mio vivere odierno.

Tantissimi anni fa, 1978, scrissi due paginette di vita quotidiana sul periodico Cittanuova. Il mio amico Giuseppe, divenuto poi direttore della rivista, commentò che avevo uno stile particolare, avvincente, fotografico, che dovevo scrivere. Cosa che poi ho preso a fare con questo blog, ma naturalmente il pensiero ogni tanto corre alla carta stampata, una specie di sogno... Per quelli della mia generazione la carta stampata rimane comunque un mito, anche se poi non posso non constatare i vantaggi dello scrivere qui sul web: libertà immediatezza diffusione capillarità. Scrivere un libro è altro dallo scrivere qui, nel bene e nel male. 

Proverò ad essere costante soprattutto per amore dei tanti lettori che in questi anni hanno continuato a visitare queste pagine (Stati Uniti, Paesi Bassi, Italia, Singapore, Indonesia, Germania, Russia, Belgio: questi nell'ordine, i paesi dei utenti del blog nell'ultimo mese... impressionante il numero dagli States!) e a cui chiedo scusa per la mia assenza. 
Tutti a me sconosciuti, eccettuata Anna, mia cara sorella maggiore, che mi ha ripetutamente chiesto se e quando ricominciamo. A lei dedico questo tentativo di ripresa!

venerdì 22 aprile 2022

E' notte, sono accadute cose - tante - in questi due anni di latenza.

Stasera, vedendo Nemesi (Miss Marple di Agata Christie - una serie molto buona, recente) odo una citazione bellissima, indimenticabile. 

Dovrei controllare la fonte, ma non ho tempo, non ho voglia e soprattutto: seppur fosse fasulla, è troppo bella!

Jean Cocteau: 

            scrivere è un atto d'amore,

            altrimenti non è che scrittura

domenica 29 marzo 2020

I r r e a l e


C'è un silenzio irreale.
Qui da me, nel mio eremitaggio domenicale ma oramai quasi mensile, pocanzi il silenzio era rotto da un prorompente Haendel col suo Messiah. Preciso in tale situazione, storica e personale. Ho fermato la musica, sono in terrazzo all'ascolto del silenzio.
Irreale.
Sembra un post guerra atomica, non si sentono bambini, non passano macchine, oggi tacciono persino i trattori. Sembra l'ora terza, quella del Golgota.
Chissà se l'uomo saprà ritrovarsi, dopo questa vicenda.
Certo, poche cose saranno come prima, a cominciare dal lavoro, dai lavori.
Dice che doveva accadere, prima o poi. L'uomo si era infilato in un canalone scosceso ed andava giù senza freno, sempre più accelerato.

Venerdì 27 marzo assieme a tanti ho partecipato, via web, alla preghiera in piazza san Pietro. Irreale pure quella, ma decisamente intonata.
Qualcuno, estremamente intelligente, non credente, commentando l'ha trovata sbagliata: "Poteva fare tutto dal suo studio, il papa. Così ha mostrato che Dio è morto, con la piazza vuota".
Certo, poteva parlare con Dio in tanti altri modi. Ma questa piazza vuota, la pioggia, il buio che avanza, la benedizione con le sole forze dell'ordine presenti, a distanza, coi loro lampeggiatori blu tenuti fissi, parlano, nel silenzio assordante. Ci siamo tutti immersi nella storia dell'umanità.
La benedizione al nulla, alla piazza vuota. Segno dei tempi, forse non facile da capire.
Sembra l'ora terza, quella del Golgota.

D'altronde proprio di recente mi son trovato dileggiato: "Dove sta il tuo Dio? che Dio esiste? E accade tutto questo?" Davvero, non manca nulla: sembra l'ora terza, quella del Golgota.

Da un po' sto cercando di capire il tempo che viviamo, dal mio punto di osservazione che è di uomo della strada, che pur tante cose ha vissute e interiorizzate.
E ci sta una cosa che di recente mi ha fatto molto piacere, andando a suffragare le mie ipotesi di studio. L'articolo di padre Antonio Spadaro in La Civiltà cattolica di due mesi fa > https://www.laciviltacattolica.it/articolo/sfida-allapocalisse/ : finalmente si comincia a nominare: "Apocalisse".
Ci siamo, quasi direi. Mi son sempre immaginato l'Apocalisse in un certo modo: ma chi sono io per sapere quando e come? Di certo: sembra l'ora terza, quella del Golgota.

Il mondo è fermo, adesso. Silente e fermo. Domenica mattina primaverile, ma ognuno da sé, in casa propria. Non oso pensare a chi vive dentro pochi metri quadrati in un appartamento di città. Immagino quanti divorzi ne nasceranno, quanti ricorsi a psicologi e psichiatri. Credo di essere fortunato, insieme ai campagnoli d'Italia. In genere siamo trattati da cittadini di serie B, è un piccolo riequilibrio, oggi.

C'è un silenzio irreale. Nulla sarà più come prima, tutti dicono, e temono.
Sembra l'ora terza, quella del Golgota.

martedì 3 dicembre 2019

Le notti, la notte...


Non tutti i giorni sono eguali, e questo credo tutti lo sappiamo.
Non pure tutte le notti, presumo, anche se oramai sono rari i sogni, o forse meglio, il ricordo di essi.
La notte, la realtà più importante per un separato, direi.
Queste notti solitarie, in cui da sedici anni oramai - non certo record, conosco tanta gente che mi ha pure doppiato! - ragiono solo col mio Dio, con la mia Madre vicina, col mio fratello maggiore Gesù.
Queste notti che divengono sacre, nel mettersi nel cuore della Trinità, in maniera a volte pure inconsapevole, quando la stanchezza prevarica nel chiuderti gli occhi senza accorgertene.
Queste notti che altri altrove altrimenti vivono, sono un fondamento.
Che non si affronta il buio, questo buio che rasenta l'esistenziale a volte, senza un minimo di certezze, per quanto sempre sotto attacco.
Tornare dagli inferi, insegna il grande Silone, è una responsabilità: hai il dovere di raccontare.
Raccontare, dire, svegliare se possibile. Divieni profeta, e certo pochi ti ascoltano, ancor meno imparano dal tuo sangue.
D'altronde, i tempi pare siano cambiati, questa è l'epoca delle esperienze personali, non si crede a niente e nessuno, bisogna passarci dentro. Certo, bel miracolo se e quando ne vieni fuori. Ma sempre meno mi sembrano i risorti.
Inesorabile, la notte avanza. E bisogna farne esperienza, davvero, mai si termina.
Sto leggendo un libro notevole, che ragiona anche di questo: di Ezio Aceti e Jesus Moran, Verso l'uomo. Già il titolo intrigante, poi questo scrivere a quattro mani di persone che ben conosco, fa il resto. La notte c'entra, con l'uomo di oggi, eccome.
Vedo positivo il parlarne, troppi ancora non si rendono conto, continuano a vivere nei miti di ieri e dell'altro ieri. Parlarne per prenderne le misure, capire, entrarci dentro consapevoli.
Certo, so di essere un privilegiato, da questo punto di vista.
Col cuore lacerato ed un passato di vario genere, arrivo ad affrontare il presente, e specie la notte avanzante, con una consapevolezza intima e radicata, mi pare.
Quel che accadrà ancora non so.
Oggi, stanotte, la certezza della salute mia che degrada, lenta forse, ma inesorabile, e specie quella dei figli. Oggi con due dei tre figli in ospedale, chi da una parte del mondo e chi dall'altra, chi accudita e chi un pò meno, per motivi contingenti.
Che fare?
Inerme, qui nell'eremo, solo offrire la tua notte puoi, ancora, alfine.

(foto mia, una notte di Fatima, 2017)




domenica 1 settembre 2019

Ma mica sei normale!



Primo settembre, domenica, mattina. Qui da me ci sta un clima meraviglioso, ora, seppure con una certa umidità nell'aere, forse ripioverà nel pomeriggio. Ma è ventilato, in terrazza si sta una goduria, son qui a scrivere, anzi a meditare e poi scrivere.
Accade che incontri creature deliziose che ti raccontano, a freddo, particolari della propria esistenza, e intuisci che forse non è casuale. Che parrebbe essere un tentativo di confidenza ulteriore, forse un approccio.
E qui solo in Cielo sanno quel che vivo. Il tempo galoppa, sempre più, la solitudine si sente, a volte pare spaccare il cuore, pesa. Manca la condivisione, quella gioiosa ma persino quando litigiosa: condivisione di vita è pure litigare, se e quando necessita. Solitudine vissuta in un matrimonio atipico, come da innumerevole tempo oramai. Nella gioia di poter chiamare Dio col nome familiare di Padre. E pure nella certezza di fare le cose giuste, anzi la sola cosa giusta possibile. Sposato sono, vivo con l'anello nuziale all'anulare sinistro. D'altronde il matrimonio cristiano è con il coniuge, anche, ma è ben altro, è impegno con Dio. La natura del separato che permane nel suo matrimonio, in nome del sacramento ricevuto e del connubio primario col suo Dio, è di norma, sovrapponibile molto bene all'Abbandonato. Ci sta una sostanzialmente precisa coincidenza, basta aprire occhi e cuore e farne esperienza. Vivere nella propria carne il Dio di questa tormentata epoca è di fatto una grazia.
Vero è che paio sprecato, in diversi me lo ripetono. Sprecato, che tanto potrei dare e fare, riciclandomi in altro rapporto. D'altronde sono stato "abbandonato" e oggi pare pure cambiare l'atteggiamento di una certa chiesa "divenuta" comprensiva, tollerante, misericordiosa, per via di tale "etica della situazione"...
E tutte queste consapevolezze, che vanno affrontate e non eluse, fanno bene al cuore. Sì, perché come diceva qualcuna, bisogna vivere qui, oggi, col cuore di là: avere il senso dell'Eterno in ogni momento presente in terra.
Passa presto la scena di questo mondo.

Ho di recente visto su youtube una commedia di Eduardo: Sabato, domenica e lunedì, con regia televisiva di Paolo Sorrentino, interprete il grande Beppe Servillo. Una storia umana, bellissima. Consiglio di vederla, si reperisce facilmente, son due ore abbondanti di grande teatro!

Da qualche tempo, credo un anno, oramai, i miei capelli crescono crescono crescono. Alla mia età pare cosa disdicevole, e forse pure lo è. La verità è che mi sto divertendo assai, per quanto scomodo e impegnativo. Ma con le scemenze che si fanno nel mondo, a tutti i livelli e di ogni genere, una posso farla pure io? Fatemi partecipare! D'altronde, l'eventuale negativo lo pago solo io, mi sembra.
Accade che qualcuno, molto bonariamente e con affetto, di tanto in tanto mi fa: "Ma mica sei normale!?" (in realtà forse riferito più al mio stato di vita che ai capelli...) Normale a me? Un tempo mi pareva un problema, non sentirmi "nella norma", specie quando ero giovane. Poi ci son passato, "nella norma" per circa un ventennio, probabilmente inevitabile per giungere a capire, e son tornato abbastanza anomalo, vivaddio.
No, non sono normale. E comunque non sono solo, sto in ottima compagnia, molti più di quanto appaia o i media facciano conoscere. Una realtà silenziosa e dimenticata dal mondo, ma poco cambia.
Davvero, passa presto la scena di questo mondo.

(foto mia, Firenze 2017)