Fiori rosa, fiori di pesco…cantava Battisti.
Questa foto è di oggi: il mio pesco bianco, già in fiore. Già stanotte, o a brevissimo, potrebbero i fiori morire, ché la rinascita sta in forte anticipo e le temperature notturne scendono ancora sotto lo zero. E tutto questo dice che la primavera è qui, l’inverno sta andando.Un inverno durissimo e freddo. Non l’inverno reale, meteorologico, che anzi è stato di un caldo anomalo, ma l’inverno mio personale di questi mesi. Credevo di aver lasciato alle spalle gli inverni peggiori, e invece: mai dire mai.
Non mi stupisco, anche se sono stanco. Ma questa la vita, lo sapevo: una scalata continua, incessante, inarrestabile, e certo non vorrei tornare indietro. Sarebbe discesa, ovvio, ma la meta è in alto. Tocca salire e la montagna non è come una vacanza passata su una sdraio sotto un ombrellone d’albergo nel caldo sole ferragostano di nota località balneare.
Sono avvezzo al sacrificio, d’altronde a casa mia l’ho sempre respirato e anzi non saprei vivere di rendita. Ma pure qui: mai dire mai.
Qualcuno mi dice che sto nel mio matrimonio per puntiglio verso mia moglie, e non certo per Dio. Carino, sapere quello che nemmeno io so. Ma ho imparato a fare di ogni ostacolo una pedana di lancio. Ho fatto un esame dei miei pro e dei miei contro. E alfine: ringrazio di cuore.
Certo: ci sono un centinaio almeno di buoni motivi “umani” per stare dentro il mio matrimonio, e ve li risparmio. Però ci sono almeno due centinaia di ottime motivazioni per venirne fuori, girare pagina, trovarsi un’altra donna, rifarsi una vita, ecc, ecc.: come tutti consigliano e fanno.
Facendo una sommatoria tra i meno e i più resta in piedi solo Dio. Che il resto è fumo. E pure qui, certamente: mai dire mai.
E questo matrimonio in cui ancora vivo, e sempre più tale mi pare, checché se ne pensi, è la cosa più importante della mia vita, così come la mia sposa è la persona più importante. Non facile un matrimonio senza reciprocità, in questa solitudine a volte gelida. Ma nessuno mi aveva promesso rose senza spine. E le rose ci sono, e sono pure belle! Il 22 gennaio è nato il terzo nipote, è arrivata una bimba. Tutti dicono che mi somiglia, ma io non so e poi non conta.
Chissà cosa sarà di queste creature, che io partirò, ad un certo punto. E ancora vorrei esserci, e stare nei loro pressi… Sere fa a cena, il nipote “grande”, che a breve compie cinque anni (il mio stesso giorno!)… si parlava della morte, chissà perché, e mi fa: “Nonno, poi tu quando muori vai vicino a Gesù!” Eh già, speriamo. Potrebbe essere che poi magari sto nei pressi ancor più, no? Ci terrei proprio.
Manco da queste pagine da tanto, troppo tempo. Un blocco, presumo salutare, ma comunque non idoneo al portale di un quotidiano web. Mi è stato impossibile chiudere le pur tante pagine iniziate.
Sono cinque anni che sto linkato dal portale di Città Nuova, sono arrivato a 111 post, ho avuto decine di migliaia di visite. A tutti sono grato, dalla mia sposa - motore interiore perpetuo, agli amici della redazione, all’ultimo sconosciuto remoto lettore (a proposito: un grazie agli amici fuori dall’Italia, a tutti, ma in particolare ai più assidui: dagli USA e poi dalla Russia).
Tutto (quasi tutto!) ha un termine. E questo blog, inevitabilmente di nicchia, non può durare nel tempo, così. Assieme al mio Cammino per Santiago de Compostela (ove sogno di tornare, magari l’anno prossimo, nel decennale), è stato una tappa importante del mio vivere e forse deve solo evolversi: in cosa non so. Intanto cessa il link sul portale della rivista. Riprenderò a scrivere, presumo, ma non so quando, né come, né cosa.
Chi vuole può continuare a trovarmi qui > http://in-separabili.blogspot.it/ e a breve sul nascente sito web > www.paoloricci.net.
O comunque scrivermi > inseparati@gmail.com.
Eppoi, devo dirlo: ho lavorato la prima volta dentro la redazione di Città Nuova che avevo 20 anni. Successivamente, ancora, in altri momenti. E chissà cosa ci riserva il futuro… anche in questo: mai dire mai.
Mi piace chiudere questo scorcio di esistenza con un passo de Le città invisibili di Italo Calvino: Marco Polo parla a Kublai Khan:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'Inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più; il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui. Cercare e saper riconoscere chi e cosa in mezzo all'inferno non è inferno e farlo durare e dargli spazio…”
Poche parole che illuminano gli abissi.
(foto mia, Umbria, marzo 2016)
Paolo, parole profonde e toccanti, come'è nel tuo stile. Riconoscere nellinferno ciò che non lo è è dargli spazio, aiutandolo magari a fiorire, come il tuo pesco, pur se poi si espone al freddo dell'ambiente circostante! Grazie per i tanti sentieri tracciati, nuove vie verso l'ignoto, a vari gradi di difficoltà come le vie di montagna richiedono.
RispondiEliminaGrazie Paolo dei tuoi scritti dove ho trovato sincerità e profondità. Mi hanno fatto tanto bene, sono sposata da quasi 36 anni, una cammino bello, faticoso, con tante sfide insieme a un marito che mi ama e mi ha amato tanto, a volte sbagliando e anch'io. In certi momenti mi sono sentita sola, divisa e mi ha aiutato meditare ciò che scrivevi. Anche nel matrimonio a volte si è soli, ma è anche giusto così. Non posso appoggiarmi, a Dio si va da soli. Spero di leggerti ancora e ti faccio tanti auguri di poter continuare a donarti per illuminare il cammino di tanti altri, in qualsiasi condizione si trovino. Tina
RispondiEliminaSpesso quando diciamo di cercare Dio, stiamo semplicemente girando intorno a noi stessi, nel tentativo disperante di conoscerci definitivamente; ma mai sarà così; e ad ogni modo nulla di male in questa ricerca, sempre meglio l'immobilismo di chi più non cerca convinto di aver trovato, confondendo le illusioni con la verità. Ovunque comunque abita Dio.
RispondiEliminaContinui a vivere dentro l'evento nuziale celebrato un determinato giorno della tua vita davanti a Dio, abitando un vuoto che grida di dolore e fa male? E allora? Non è forse dell'Amore questo abitare il nulla riempendolo di sé? Ecco, Paolo, purché tu non lo faccia per Dio, per tua moglie o per te stesso, purché tu non dia a questa "fedeltà di brandelli carnali e di sangue" un senso diverso da quello di essere in sé già pienezza ( e non per un rigore morale, per un tentativo tutto umano di santificarsi oppure per una celato narcisismo o ricerca di sé) d'Amore e quindi capace di nutrire una vita di assenze (anche il deserto ha il suo fascino), allora hai centrato il cuore della questione: non importa il perché ed il per dove del tuo andare, poiché il dono che hai fatto a noi in questi anni e che stai facendo e, spero, farai ancora, è aver mostrato o aperto un sentiero, e per l'uomo che è un viandante in terra, il tuo andare nell'Amore (perché di ciò si tratta, pure quando accadesse in interruzioni o contraddizioni ovvero in entrambe le variazioni) è per i nostri passi sovente incerti un frammento luminoso di una via lattea dello spirito.
Con affetto e a rileggere un giorno, questi tuoi post in un libro magari di Città Nuova