giovedì 19 novembre 2015

Fallimento?


Provo a rispondere a questa domanda rivoltami da unknown qui sul blog, il 23 ottobre. Ho iniziato subito a rispondere ma poi sono stato preso da altro scrivere che, purtroppo, urgeva di più. Chiedo scusa del ritardo.
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"di certo in questo film in cui vivo sono stato posto dalle scelte della mia sposa, che ben altro io avrei desiderato nella mia vita"
La responsabilità del fallimento del matrimonio può essere di uno solo degli sposi?
Non credo e sono sposata da 37 anni.
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Carissima unknown, bella la questione, molto intrigante per me risponderti.
Naturalmente dirò il mio punto di vista, che nasce dalla mia vita. Però è quanto chiedi, a me proprio. Ho con fatica imparato a non assolutizzare. Non esiste ricetta valida per tutti e comunque. Guai a entrare nella coppia e pontificare. Son sempre migliaia le sfumature che distinguono una storia da un’altra.
Parto dall’esperienza di credente, ma presumo si possa ben estendere: dipende solo da chi sei, dentro. A prescindere dal tuo rapporto con l’Eterno.

In genere gli esperti dicono che la responsabilità dei problemi all’interno della coppia è da dividersi sempre, o quasi sempre, fifty/fifty, con le dovute possibili varianti. E questo penso di poterlo condividere ampiamente, e io mai parlo di colpe ma, come te, di responsabilità: la colpa è figlia della malafede, la responsabilità può dipendere da tanti altri fattori. Proviamo a vedere positivo, sempre e comunque.
Poi ad un certo punto della vita magari accade che uno dei due decida di chiudere il matrimonio, voltare pagina (e per lo più nasce da distrazioni altrove, come tutti - quasi tutti - ben sappiamo).

E qui la responsabilità per la maggior parte se la deve addossare chi decide la chiusura, specie se l’altro è disponibile a ricominciare. Perché ricominciare, cambiare, crescere, in genere potrebbe, dovrebbe essere possibile. Anche se mi pare ci siano tante eccezioni, situazioni molto gravi. Ad esempio, la Chiesa ritiene che in contesti particolari il separarsi sia il male minore, quindi pure consigliato.

Citi le mie parole. Penso sia chiaro che sto vivendo di rimessa, ovvero in base alle scelte della mia sposa. Non pensavo proprio di giungere a tanto, specie col mio carattere. Pensavo che l’amore fosse l’azione, l’accudire, il fare, lo stare vicino. Credo di aver pure soffocato, per quanto in buonafede. Perché lo “amare il prossimo come sé stesso” come principio è naturalmente eccellente, ma poi sarebbe da aggiungere, specie nel rapporto di coppia: “nel modo in cui il prossimo desidera”. Perché qui sono possibili enormi svarioni, se non ci si mette nei panni del coniuge: essere l’altro, un po’ come accade dentro la Trinità, direi.
Il “come”: termine di paragone, e quindi modo di amare, deve essere l’altro: come il coniuge si amerebbe. E quindi io divenire l’altro che si ama come desidera…

Col tempo, la distanza, il sangue, ho compreso che questo qui è l’amore ancora più grande. Questo è “l’amore di Dio”, l’amore che si sta chiedendo a me e a tanti, per lo più invisibili. Arrivare sino in fondo, tutto accogliere, tutto tollerare, tutto amare.
E quindi Maria sul Golgota: chi più separata di lei dall’amato?

Tu ti dichiari non credente. Ma se non credi, e stai sotto la croce comunque… mi sa che è ancora più grande l’amore! E questo solo conta, no?

Poi avrai letto che il termine “fallimento” non mi piace proprio.
Qualche anno fa venni invitato ad una tavola rotonda dinanzi a centinaia di fidanzati. C’era con me l’avvocato esperto in cause di nullità, c’era la psicologa esperta di relazioni di coppia... e io? Lì mi resi conto che ero esperto in fallimenti: e così mi presentai. Un po’ di sconcerto, e pure risate, perché nessuno poteva immaginare questa presentazione. Ma era ed è vero: fallimento del mio amare, fallimento dei miei sogni, fallimento dei tanti bei progetti. E quindi esperto reale della vita di coppia: in negativo, ma sai tutto alfine, e puoi pure passare il tuo know-how… al positivo!

Fallimenti tanti, ma non del matrimonio, no. Tanto è vero che ci sto dentro, seppur senza reciprocità. Perché ci credo, perché lo voglio. Perché ho un’immagine alta della mia sposa, perché so chi ho sposato.
E alla fine quel che conta è come Dio vede l’uomo, come vede la donna. Il suo progetto “soprannaturale”. E quindi arrivare, se possibile, ad inquadrare le cose nell’ottica divina: Dio rimane fedele al suo disegno, al suo Amore. E in questa dinamica sempre, sempre ricominciare, imparando, se possibile, qualcosa dagli sbagli.
Mai è troppo tardi per l’amore.

(foto mia, Barcelona 2014)

1 commento:

  1. Quasi perfetto, Paolo... Tuttavia ha ancora una sfumatura di grigio: volere a tutti i costi salvare, giustificare; ma l'Amore radicale, assoluto non salva, non giustifica, lascia che la distanza rimanga incolmabile come la libertà dell'amato (per questo vediamo solo fino alle spalle di Dio), è in quella piena distanza che accade l'Amore. Il resto è tutto il nostro umano.

    Un abbraccio

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