È diverso tempo che non pubblico. Ne ho coscienza piena, e un quasi senso di colpa, sottile, che tutti i giorni mi rammenta di questo mio impegno.
Vero che potrei scrivere più rado, e più spesso.
Forse il web richiede più questo che il mio scrivere elaborato, figlio di sentimenti e situazioni del cuore. Vedremo.
In questo periodo di latenza ho scritto diversi post, dopo non chiusi come avrei voluto. Son lì, sospesi. Poi il pensiero che dovevo scrivere, che c’era qualcuno che da qualche parte aspettava di leggermi, cosa bellissima e piacevole, alla fine soffocava tutto divenendo una responsabilità troppo grande. Insomma, una inconcludenza insolita, che però vedo positiva. Un concentrarsi sulla vita, sino in fondo.
Mi trovo impegnato in cento cose. Non ultimo: sto, lentamente purtroppo, rimettendo in funzione la mia vecchia camera oscura, son circa trentacinque anni che attende. Ma forse i tempi son davvero maturi. Torno alla fotografia analogica, al mio amato bianco e nero in cui avevo acquisito una certa maestria. Controcorrente, rispetto al dilagante digitale, che mi è comunque oramai insostituibile per tanti “usi generali”.
Oltretutto ho vissuto giornate estremamente difficili, in cui il peso del quotidiano sembrava intollerabile. Situazioni forse banali che però divenivano ingestibili. E alla fine rendersi conto di dover in qualche maniera rigenerarsi a vita nuova, ancora una volta. Mai si è arrivati, sempre si ricomincia. E qualche volta un poco di più. Nuovi equilibri interiori, nuovi orizzonti, sempre meno confinati.
Ma ho consapevolezza piena della vita: la mia, le nostre vite, che stanno rapidamente passando. Vite non facili a volte, con spaccature profonde e forse senza guarigione.
Per me auguro che alla fine solo contino tutti i milioni di “momento presente”, di istanti susseguitisi nella mia storia in cui ho messo Iddio prima di tutto il resto.
Negli scorsi giorni una canzone di Roberto Vecchioni mi pareva molto vicina al mio vivere, “Le rose blu” (facile ascoltarla su youtube). E il suo presentarla ad un concerto (è riferita ad un figlio, ma la leggo più in generale): «Adesso farò una cosa che non è nemmeno una canzone.. è molto di più... ed è una cosa nata in un momento di grande sofferenza nella vita di uno dei miei figli... Non credo che esista al mondo un dolore più grande di vedere soffrire una persona che si ama... soprattutto se è un figlio... Te ne stai lì... ti chiudi... il sangue che scorre... i nervi si accavallano... i muscoli fermi... E allora mandi una preghiera che sembra una bestemmia... o una bestemmia che sembra una preghiera... all’unica cosa che pensi che ti possa ascoltare... che poi si chiama Dio... e devi dare a Dio tantissimo per avere in cambio qualcosa per tuo figlio... non gli puoi dare in cambio solo la vita... è troppo facile... e allora gli dai in cambio tutto quello che hai vissuto... che è differente... come se non avessi mai amato... mai sognato... mai cantato... mai visto una donna... mai visto un bambino... mai visto la primavera... mai visto il mare... come se non fossi mai nato... oppure fossi nato ma come un lombrico... un verme... una schifezza di essere... e gli chiedi in cambio... per questo dare via tutto... quell’altra cosa... Perché arriva un momento che non te ne frega niente della bellezza della poesia... e i sogni... e di tutte le piccole cose importanti che hanno fatto la tua esistenza…»
Poi, dalla liturgia domenicale, l’Apocalisse di Giovanni: “E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»”.
(foto mia, Norcia 2007)
Ciao, Paolo, è vero: ormai è diventato un appuntamento leggerti in formato blogger; secondo me, hai ricevuto un dono ed è giusto trafficarlo. Bello anche questo post e bella la citazione finale; però del testo della canzone (che non conoscevo, poi la cercherò per ascoltarla) comprendo ma evidentemente solamente come passaggio di un sentimento e quindi non condivido con la ragione, la preghiera avvertita come necessità di scambio; ma ripeto: non sto giudicando, perché è umanissimo davanti al dolore di chi si ama "impazzire" e pensare a ogni forma di riscatto (ricordo una crudissima scena all'inizio di "Forrest Gump"), però proprio perché penso alla tua paternità, che intuisco essere stata di altissimo profilo morale e sentimentale, mi è difficile non pensare alla paternità di Dio come infinitamente superiore alla migliore delle nostre. Infine, trovo intonatissima la citazione finale della Scrittura, perché amare con cuore di padre (ma Dio è anche madre) ci fa scorgere lo Spirito all'opera che fa nuove tutte le cose, noi stessi e coloro che amiamo. Se permetti, poi, vorrei condividere un testo, scritto appena stamattina e che forse sfiora il tuo tema.
RispondiEliminaUn caro saluto
- Non volevo -
Si elide lentamente
Nelle forme cicliche del rito
L'ansia che sa il termine di tutto
- Amina Narimi -
Nando
Non volevo si giustificasse la vita,
In fondo si presentava come un dono
Pure fosse stata un intervallo presso il nulla.
Certo non rimandava nessun chiarore
L’incidenza del male e il dolore
Dell’innocente sconquassava
- Di chi cerca segni - l’anima e le mente.
Già in culla strappa carni e cuori
L’arto prensile che brama e possiede
E nega l’altro per il sé e nulla vede
Di quel che resta fuori.
Estrema solitudine in cui muori!
Anima mia, che cosa rimarrà di te
Negando Dio?
Non voglio si giustifichi la vita,
in fondo si presenta come un dono,
Ma soffio necessario mi è il pregare
Se odo l’eco del richiamo estremo
- Nelle forme cicliche del rito -*
A mani tese e poi giunte
Come naufrago del mare
Per ciò che sono, per ciò che temo.
* Il verso, già presente nella citazione sopra i versi, è della poetessa Amina Narimi, presente tra le autrici de "La Recherche".
Vabbeh, però me fai sempre piagne....troppo bello!
RispondiEliminaFrancy