mercoledì 4 luglio 2012

Dieci ragazze per me!

“Ho visto un uomo che moriva per amore. Ne ho visto un altro che più lacrime non ha…”
Cantava Lucio Battisti forse quaranta anni fa, mi trovo a cantare io ripartendo da un distributore di benzina in un tardo pomeriggio di caldo africano.

Ho avuto un incontro praticamente shockante, quell’incontro che sogni ma poi temi. Incontri la tua sposa che ti chiama, sorride, e tu hai un colpo al cuore. Pochi istanti, belli, si parla dei figli, e poi si prosegue, ciascuno per la sua vita. Lei torna da un pomeriggio di donazione, io sto andando a fare qualcosa, quel che posso: la figlia ammalata, il nipotino, il genero.

E mi chiedo, e chiedo al Cielo, perché farmela incontrare, di nuovo. Morirò infartuato, lo so. Forse dovrei non vederla più, mai più. Il mio povero cuore sfibrato, che prima o poi implode...
A forza di "morire a me stesso", da anni, credevo davvero di essere "morto", e invece mi scopro sempre più vivo, con tutti i sensi allertati. Forse sono semplicemente normale (è questa alfine la bellezza?)
Ma intanto il cuore sta sotto pressione.
“Dieci ragazze per me posson bastare” cantava Battisti, “voglio dimenticare!”: la filosofia del chiodo scaccia chiodo, come dicevo nell’ultimo post. Ma lo stesso Battisti poi ammette: “ma io muoio per te”!.

Sere fa, avevo ospiti a cena. Mi son trovato quasi contestato nel mio parlare di dolore. Come se dovessi bypassarlo, risolverlo voltando pagina. Come se il dolore fosse argomento tabù, da evitare di parlarne addirittura. Come fan tutti, come pare norma oramai.
Rivendico invece il valore del dolore. Questo mio dolore che nel tempo mi ha costretto, quasi, a ritrovarmi, a trovarmi, a crescere, a scoprirmi uomo umano, vero. Che mai fa piacere, ma sempre può trasformarsi in amore, direttamente proporzionale, anzi forse esponenziale.
Ecco: non esiste alternativa, bisogna evidentemente andare sino in fondo, ognuno nella propria storia. Storia di dolore e amore insieme, sempre.

Mi giungono email dopo l’ultimo post:
“Stremata. Esattamente la condizione in cui mi sento ora dopo che lui ha cambiato ancora i turni e mi ha detto che non sa che farci per i miei impegni.”
“Caro Paolo, con le tue parole arrivi a toccare le parti più profonde del mio cuore... sembra che quello che scrivi sia fatto su misura per me... Sono anche io stremata, perché mi sto avviando a vivere da separata... pregheremo tanto per il nostro papy, che sta annaspando in acque tempestose senza orientamento alcuno.”


Voglio dedicare questo scrivere alla mia sposa, in primis, ma anche ai tanti e soprattutto tantissime che vivono col cuore squarciato, forse sperando il “voglio dimenticare”, che hanno continuamente la sensazione di non farcela più, e magari la lusinga delle “dieci ragazze per me”.
A tutte le creature che nel silenzio e nel sangue, giorno dopo giorno, ma soprattutto notte dopo notte, con la loro vita, dicono, ancora, ogni volta, che Dio è possibile, è più, è oltre. Che Dio alfine è proprio il contrario di quanto si credeva, e forse ci hanno persino insegnato.
Il Dio di questa epoca è il nostro Dio: quello crocifisso, abbandonato, morto. E poi disceso agli inferi, per tre giorni e tre notti. E infine risorto. Risorto!
E chi più di noi?

(Foto mia, giugno 2012)

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