martedì 11 ottobre 2011

Let it be

Mi capita di sentire storie di dolore che lasciano senza fiato. Dolore in famiglia, amiche e amici separati con problemi immani di gestione dei figli e della propria vita. Pianti senza più lacrime oramai.
E la mia prima reazione, nella condivisione attiva del dolore, è sempre quella: ci entrerei dentro, nel fare qualcosa di risolutivo, che riporti pace, serenità. Tenterei l’impossibile.
Mi sembra sia l’amore vero, concreto, con cui posso amare chi mi passa accanto in questo scorcio di eternità. Sono un interventista, il mio carattere.
E qualche anno fa venni calorosamente invitato al contrario: “Tu devi imparare a stare fermo, a lasciare che sia, a non fare…”.

Tenti di cambiare il corso degli avvenimenti, modificare la storia. E si possono fare danni pure in buona fede.
Penso a Pietro quando sguaina la spada e reagisce, in maniera inconsulta. Fa danni, va oltre. Ma reagisce: la sua natura impetuosa.

Per anni e anni ho lottato come ho potuto contro questa mia separazione che inesorabile avanzava, era una cosa assolutamente inaccettabile, la vedevo un errore, follia.

Un anziano amico mi rimbrottò addirittura: “E cosa sarà mai una separazione, con quanto accade nella vita!” Ma per me era il peggio del peggio. La mia vita che moriva.

Stare fermo, non fare: mica facile! Eppure qualcosa credo di aver imparato. Quel “Lasciare che sia!” mi ha lavorato. Ho scoperto realtà che teoricamente sapevo, ma non vivevo, non immaginavo tali. Molto distanti dal mio istinto, agli antipodi.
Ho imparato ad essere il contrario di me.

In questi anni di dolore, di situazioni al limite, in alcuni momenti estremamente difficili è parso che una presenza vicina quasi sottovoce, impercettibile, mi sussurrasse “Let it be!”: lascia che sia!

Let it be. 1969, ultima canzone dei Beatles. La storia (Wikipedia) narra che Paul McCartney abbia perso la madre Mary da bambino, e gli sia apparsa in sogno, raccomandandogli: lascia che sia, let it be… Un testo incredibilmente bello e altrimenti leggibile: quel “Mother Mary” a me e forse a tanti sembrava altro.
(Per chi volesse conoscerla, consiglio una versione splendida su youtube.com: live del 2003, concerto a Mosca sulla piazza Rossa - chiave ricerca: Let it be Moscow).


Non ribellarti, non combattere come tuo solito. Lascia che sia. Come Maria sul Golgota. Non ha urlato, non si è messa di traverso coi carnefici, non ha maledetto. Ha lasciato che accadesse. Ma Lei tanto poteva solo in virtù del suo stare in Dio, in altra dimensione.

A volte pare non esista via d’uscita, il cuore stritolato.
Mi son trovato e mi trovo ancor oggi a permettere, in me e col Padre, che sia.
Let it be, continua sovente a sussurrarmi quella voce.

Mettere la propria esistenza, ogni volta, di nuovo, nelle mani di chi sa e vede e provvede. Le sole che possono. Non le mie mani, che poco possono pur avendo grandi velleità.

Maria. Ottobre, il suo mese.
Vivere la sua leggerezza. Posarsi nel vento e lasciarsi portare…

(foto mia, settembre 2006, Umbria)

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