venerdì 22 dicembre 2023

Christmas (a.d.1997)

Queste righe nascono nel 1997, sostanzialmente figlie del vivere di quel momento. Mamma era partita alla vigilia del Natale precedente, io ero dentro uno dei periodi più drammatici della mia esistenza. Mi rivengono fuori adesso, al rendermi conto che nei giorni scorsi ho vissuto una situazione decisamente pericolosa per la salute... situazione analoga, probabilmente, ad un altro momento cruciale nel dicembre 2007.

La sola spiegazione che vedo: sei ancora qui, una specie di miracolato, vivi e canta del Dio che conosci!

E quindi, eccoci...

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"Tra tre giorni è Natale, non va bene e non va male..."

Tra tre giorni è Natale, si diceva, mentre nei meandri cerebrali cantavano le note sgualcite di una vecchia canzone di Francesco De Gregori.

Era giunto un altro Natale, arrivato improvviso, inatteso e, come sempre ultimamente, non certo desiderato. Erano anni, ormai, che non desiderava natali. Una volta avevano un senso, un motivo di vita spirituale. Significava rinascere, il Natale, una nuova nascita in spirito, come ricordava quel bambinello nella mangiatoia, circondato da due esseri umani di rara semplicità e da due animali ignari del compito che svolgevano, scaldare una nuova vita umana, di un bimbo che, ma mai l'avrebbero saputo, si dice fosse figlio di Dio, oltre che di Giuseppe e Maria.

Era buffo, ora, ricordare due vite ignote ma passate alla storia più grande della storia dell'umanità, la vita di un bue e di un asino che avevano scaldato, in una fredda e stellata notte di Palestina (ma c'è la tramontana in Palestina, a dicembre?) la venuta al mondo di un piccolo figlio di uomo. Passare dai trentasette gradi dell'utero materno ai quindici, dieci gradi o forse meno, di una notte invernale non è cosa piacevole, senza riscaldamento e abbastanza coperte. Eppoi era il primo figlio, nato in una situazione decisamente poco tranquilla, lontano da casa propria e da tutto il vicinato di Nazareth, in cui sicuramente c'era già pronta la praticona di turno, la levatrice dell'epoca, a far sgravare, aiutata da altre donne già cariche di figli e di affanni, quella giovinetta dall'aria inesperta e un po’ sulle nuvole.

Ma la storia volle che quel bimbo nascesse lontano, senza un vicinato chiassoso e curioso che sarebbe corso a guardarlo, magari per vedere e confrontare le somiglianze con Giuseppe, il falegname che lavorava il legno con la stessa mitezza con cui trattava i suoi simili. Era, Giuseppe, un caso particolare, secondo i suoi paesani. E' vero, anche Maria era tanto strana, ma era femmina, giovane, perciò non stupiva più di tanto il suo carattere disponibile, la sua religiosità profonda e trasparente. Ma Giuseppe no, era un maschio di Palestina, faceva un lavoro duro, un artigiano che doveva lottare per conquistarsi una clientela, seppure povera, che però gli avrebbe permesso un tenore di vita discreto. Di clienti ne aveva, ma non erano tanti quelli che lo pagavano. Magari accampavano scuse di imperfezioni dei suoi manufatti, oppure più semplicemente dichiaravano di non essere assolutamente in grado di pagarlo subito, forse un domani chissà... Non s'arricchiva il falegname Giuseppe di Nazareth, ma mai aveva saltato un pasto e, soprattutto, mai aveva alzato la voce e una parola dura nei confronti di chi non gli pagava il pattuito. Eppoi, agli occhi dei paesani era strano anche che lui, unico caso che si conoscesse, la sera se ne stava con la moglie, in casa o davanti casa, senza andare in una delle bettole della zona, come tutti i veri maschi, a bere e giocare e raccontarsi storie oscene.

Tornarono a casa in tre, e la curiosità del paese si sbizzarrì più del solito. Da quella coppia di svitati poteva solo nascere uno svitato più di loro, disse qualcuno bonariamente: una battuta che col passare degli anni venne ricordata dai paesani come una profezia...

Certo, se questa storia Luca e compagni l'hanno inventata di sana pianta sono stati veramente bravi, dei creativi pubblicitari ante litteram, si disse sorridendo a se stesso con leggero movimento delle labbra.

Tra tre giorni è Natale. Si vede dal traffico. Tutti infolliti, come sempre negli ultimi anni, o forse peggio, se possibile.

Tutto era fermo. Nell'aria resa torbida dalla nebbiolina serale e dal tanto smog, illuminata di rosso dagli stop delle migliaia di macchine che aveva davanti, sulla sua stessa strada, tutto taceva, tranne il turbinio dei motori accesi e i clacson e le trombe dei meno pazienti. Perciò era un casino, altro che pre-vigilia di Natale. Era riuscito ad estraniarsi da quella bolgia facendo una quasi meditazione su un fatto raccontato in alcuni libri da alcuni signori di tanti secoli fa, che ne avevano sentito parlare da altri tizi che ne avevano sentito dire... Ora però l'incantesimo era rotto. Il caos non l'aveva mai amato, era in ritardo all'appuntamento, tutta la città era fuori in macchina a comprare regali per festeggiare un banale natale, un natale di consumi e di spese futili e di regali inutili. Il solito natale in cui ognuno è solo con sè stesso e passa una giornata insulsa mangiando a crepapanza e bevendo più del necessario. Magari rivedendo parenti che non ama, non potendone fare a meno, e giocando a quella stupida tombola con cui giocava quand'era uno stupido bambino, tanti secoli or sono...

Decise di getto, vedendo un posto che si liberava in un parcheggio. Riuscì ad arrivarvi prima di altri e posteggiò, contento. Aveva deciso di proseguire a piedi, in un attimo, notando una macchina che liberava un posto ed andava ad inserirsi nell'interminabile e praticamente immobile corteo pre-natalizio. Era contento perché non camminava più da tanto tempo, perché sentiva il bisogno di uscire da quell'inferno terreno, perché gli sembrava finalmente una scelta di libertà. Ed infatti si sentì libero, si mise il vecchio berretto da navigazione in testa e gli stinti guanti di pelle alle mani. Camminare, in quella situazione, può essere persino entusiasmante, pensò guardando tutti gli altri automobilisti fermi e furiosi, in colonna. Era uscito dal mucchio, non aveva più un gruppo che gli dava certezze, era un pedone, un solo, finalmente dichiarato. Non come in automobile, che si è comunque soli seppur credendosi al sicuro dentro una scatola di latta a motore inquinante, con tutte le certezze di onnipotenza che ne nascono. Era solo, era un uomo solo in una città deserta di uomini. Solo gente frettolosa, con la mente alle compere e ai vari cenoni e pranzi natalizi, con occhi assenti rimbambiti da sfavillii di luci multicolori.

Prese a camminare di buon passo, e provò a fare lunghi respiri. Nei polmoni gli entrarono nebbia e smog. Ma era inutile, non avrebbe desistito, avrebbe continuato a camminare, si sentiva bene nella condizione di pedone. Gli parve oltretutto un modo di celebrare il Natale. Camminare a piedi in una città ingolfata! Certo, era una rinascita, prendere coscienza di sé, uscire dal mucchio e camminare! Si chiese cosa avrebbe fatto quel bambino lì, in una città così combinata... avrebbe camminato, o sarebbe rimasto in automobile? Ma, soprattutto, sarebbe poi nato e vissuto in un posto simile?

Camminando camminando si chiese quanti anni erano che non capitava più da quelle parti. Quella stazione la conosceva bene, ed ora era irriconoscibile, tutte luci e negozi invitanti, altro che lo stile severo ed autarchico del ventennio che lui ricordava bene! Si accorse del cambiamento anche dai barboni, anzi le barbone, che incontrò sulla via, sotto cartoni variopinti, che dormivano o morivano, tanto era uguale, sotto gli occhi che non guardavano di milioni di persone... Gente rassegnata, sopravvivente sopra a scarichi d'aria calda dentro cartoni di recupero, vite già finite. Si fermò più avanti, curioso, davanti ad un altro cartone, era o non era abitato? Qualcuno dei passanti rallentò per guardare lui, che si era fermato per guardare un clochard... no, il cartone era vuoto di vita spenta, abitato probabilmente solo di stracci, non c'era nessun morto dentro. Si chiese se avrebbe incontrato sotto un cartone anche una palestinese che stava partorendo un figlio di Dio. Sarebbe nato qui, oggi, sotto un cartone emarginato, non certo dentro un'automobile incolonnata per fare spese...

Giunse all'incontro con Elena con discreto ritardo. Lei lo attendeva con aspetto corrucciato, ma era naturalmente solo apparenza. Cercava di non far trasparire del tutto la sua indole, tentando camuffamenti improbabili anche per chi appena la conosceva. Risero entrambi di cuore, dopo un abbraccio denso d'affetto. Non si vedevano da tanto tempo, ma spesso si erano scritti. Appartenevano alla rara specie di umanità che ancora scrive lettere, seppure via fax od Internet, invece di telefonare. La loro vita ed il loro rapporto erano cresciuti paralleli, erano fatti l'uno per l'altra ma tardavano a dirselo, come se ambedue volessero gustare fino in fondo quella sorta di innamoramento iniziale che da sempre racchiude momenti magici, come ora d'altronde, con un vivere quasi da persone mature e non da giovani come essi erano.

Si dissero qualcosa del tempo e del ritardo e del traffico e del Natale incombente e dei regali. Lui voleva dirle qualcosa di ciò che aveva vissuto dentro nelle ultime ore, ma poi si disse che magari rovinava tutto, che lei comunque non avrebbe capito, ma poi si decise e le raccontò del bue e della Palestina e delle clochard e delle automobili... Sentì di aver fatto un passo grande, dentro, quando vide che gli occhi di lei avevano capito, erano saturi di commozione. 

In mezzo al caos natalizio di un'affollata e distratta stazione ferroviaria lei lo abbracciò, lo baciò, si baciarono, si abbracciarono, si dissero buon Natale, è questo il vero Natale, grazie di esistere, auguri veri... 


martedì 23 maggio 2023

La sommatoria

Un urgente bisogno di comunicare, unito ad una sensazione fortissima - e dolorosa - di tempo che passa, mi spingono tenacemente a (tentare di) riprendere a scrivere qui. Presumo uno scrivere diverso, perché questa è un'altra epoca dell'esistenza e io sono sì quello di ieri ma soprattutto la sommatoria di ciò che ero dieci anni fa e ancora prima e soprattutto oggi.

Probabilmente sarò ridondante ripetitivo magari pure antipatico. 

Uno stimolo a scrivere mi sorge da Battiato "che cosa resterà di me del transito terrestre, di tutte le impressioni che ho preso in questa vita....". Ecco, proviamo a lasciare qualche altra impressione!

E sempre vero comunque rimane il mio Silone quando asserisce: Chi è tornato dall'inferno ha il dovere di comunicare. Il mio ritorno dall'inferno risale oramai a una ventina d'anni fa, però quei tempi di deserto duro sono più che mai parte del mio vivere odierno.

Tantissimi anni fa, 1978, scrissi due paginette di vita quotidiana sul periodico Cittanuova. Il mio amico Giuseppe, divenuto poi direttore della rivista, commentò che avevo uno stile particolare, avvincente, fotografico, che dovevo scrivere. Cosa che poi ho preso a fare con questo blog, ma naturalmente il pensiero ogni tanto corre alla carta stampata, una specie di sogno... Per quelli della mia generazione la carta stampata rimane comunque un mito, anche se poi non posso non constatare i vantaggi dello scrivere qui sul web: libertà immediatezza diffusione capillarità. Scrivere un libro è altro dallo scrivere qui, nel bene e nel male. 

Proverò ad essere costante soprattutto per amore dei tanti lettori che in questi anni hanno continuato a visitare queste pagine (Stati Uniti, Paesi Bassi, Italia, Singapore, Indonesia, Germania, Russia, Belgio: questi nell'ordine, i paesi dei utenti del blog nell'ultimo mese... impressionante il numero dagli States!) e a cui chiedo scusa per la mia assenza. 
Tutti a me sconosciuti, eccettuata Anna, mia cara sorella maggiore, che mi ha ripetutamente chiesto se e quando ricominciamo. A lei dedico questo tentativo di ripresa!