martedì 6 ottobre 2015

Coloro che arrivano all'abisso


Siamo all'autunno, l’estate è ancora una volta svanita. Chi ha riposato, chi no. Chi ha fatto ferie, chi ha strabordato, chi non aveva nemmeno i soldi per mangiare. Le giornate son già molto ridotte, la vita corre via, fugace. A brevissimo arriverà Natale, e poi comunque terminerà pure quest'altro inverno. E sempre più, la sensazione mia profonda è che solo in funzione dell’Eterno ha senso questo vivere.

A metà agosto, seppur in extremis, son riuscito a partecipare ad un convegno, qui in Umbria, della Fraternità Sposi per sempre: un bel gruppo di “svitati” che, come me e in virtù del sacramento in cui credono, vivono nel loro matrimonio pur senza la prevista reciprocità. Tutto nato dall’iniziativa di don Renzo Bonetti, che qui ringrazio pubblicamente per il suo forte credere nel sacramento del matrimonio.
Debbo dire che ho respirato un’aria molto sana, di cui avevo necessità in questo momento in cui parrebbe che grandi sconvolgimenti stiano per abbattersi su quanto ci era stato insegnato, e quindi credevamo, intorno al nostro matrimonio di credenti nel Vangelo.
Grazie a don Renzo, ma grazie anche a tutti i presenti: il clima generale è dipeso da ciascuno.

In questi giorni ho molti contatti con un amico che sta vivendo una fase drammatica della vita. Dopo la subìta separazione e la solitudine in una casa nuova e senza più prole vicina, sta rendendosi conto che la moglie fa tante cose. Ed il dolore bussa molto forte: inevitabile.
E allora?
In genere la separazione è voluta da uno dei due, parte attiva, che la impone alla parte inevitabilmente passiva, se non contraria. E non è indolore per nessuno, anche se chi lascia per lo più ha già pronto l’anestetico, anzi la “felicità”, che lo attende.
Ma chi è abbandonato certo si ritrova in mezzo ad una strada. E la soluzione, diffusa, semplicistica, fuorviante è sempre quella: rifatti una vita!
Ma se il coniuge ha una malattia grave, come potrebbe essere un "tumore dell’anima", cosa fai? Lo abbandoni? Contraccambi? Ti rifai una vita?

Ma qui si imposta male il problema, e la soluzione prospettata è tutto meno che soluzione.
Se credi, e non c'è obbligo, il tuo sì al coniuge è un sì all'Amore divino, è donare la tua esistenza a Dio nelle mani concrete di chi sposi, per sempre e comunque.
Se segui invece l’andazzo generale ti rifai una vita, magari ti accontenti di altro e può andare pure bene, ovvio. Ma a volte è un chiodo scaccia chiodo. Il taglio rimane, la ferita, il crack del disegno originario soprannaturale stanno lì, nulla cambia.
Certo, occorre proprio essere credenti, ma tanto, e disposti a rischiare la follia e pure lo scherno, per continuare a stare nel matrimonio.

Qualche tempo fa ho scoperto Martin Heidegger, filosofo contemporaneo. Ho studi tecnici e la filosofia mi è ostica. Però qualcosa capisco dal vivere, oramai.
Trovo drammaticamente attuale e vero:
“La notte del mondo distende le sue tenebre. Ormai l'epoca è caratterizzata dall'assenza di Dio, dalla “mancanza di Dio". (...) Si è spento lo splendore di Dio nella storia universale. Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero. È già diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza. (...) L'epoca a cui manca il fondamento pende nell'abisso. Posto che, in genere, a questa epoca sia ancora riservata una svolta, questa potrà aver luogo solo se il mondo si capovolge da capo a fondo, cioè se si capovolge il partire dall’abisso. Nell'epoca della notte del mondo l’abisso deve esser riconosciuto e subìto fino in fondo. 
Ma perché ciò abbia luogo occorre che vi siano coloro che arrivano all’abisso.” 
(Sentieri interrotti, ed. it., Firenze 1982, pp. 247-248)

La mia amica Alberta di recente mi ha condiviso un’affermazione di Cesare Pavese: “Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola”. Preciso, grazie!

Condivido in pieno anche Heidegger. E' qui la soluzione, ne sono testimone di persona.
Il dolore va affrontato, attraversato: si deve giungere sino in fondo, oltre le consuetudini, oltre la giusta paura dell'ignoto e del buio.
Nella notte del mondo, arrivare all’abisso: coscienti, tenaci, a testa alta, magari nel sangue.
Ma con la certezza nel cuore di fare la cosa giusta, per quanto dolorosa, derisa, fuori moda, incompresa.

(foto mia, Verona, 2015)

1 commento:

  1. Sempre molto profonde le tue provocazioni. Bellissimo...! Dovremmo gridarlo dai tetti. Ma noi che lo sappiamo possiamo solo stare lì,testimoni muti, perchè solo chi lo vive lo sa che questa è la via. Se qualcuno ci arriva dopo aver percorso altre strade saremo lì ad attenderlo.

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