Capita di ripensare ai tanti miracoli vissuti, specie nei primi tempi, qui nell’eremo, nella nuova vita da solo.
Ho incredibilmente ricordi vaghi e stavo davvero come uno cui è appena passato sopra un carro armato. Non so proprio come ho potuto vivere quegli anni. E forse nemmeno si può capire. Espropriato di tutto il vissuto, anche la casa andava tutta inventata, dai bicchieri ai mobili, tutto. Avevo qualcosa di biancheria di mia madre, e pure qualcosa delle nonne (lenzuola centenarie oramai!).
Mi giunse inizialmente il grande dono di un letto matrimoniale con tanto di materasso da Alfonso e Patrizia. A loro avanzava, ma forse no: era il modo per farmelo accettare.
Ma il dramma vero era il tetto, ci pioveva in parecchi punti e solo dopo due inverni ho potuto sistemarlo, quando finalmente è arrivato un ulteriore prestito, oltre il mutuo iniziale.
Una mattina d’inverno nel sottotetto, la mia camera da letto, il termometro segnava 4 gradi. Decisi di andare a dormire al piano sotto, era un poco meglio. Poi la notte mi svegliai che mi girava tutto, vomito. Dal cellulare non riuscivo a chiamare nessuno: non vedevo. Se mi alzavo cadevo.
Forse era giunto il mio momento. Prima o poi arriva, sempre. Certo qualcuno mi avrebbe cercato, prima o poi.
A Maria, sempre presente, dissi che tutto era nelle sue mani. Sereno, caddi nel sonno, ma poteva essere altro.
Poi all’alba quasi, presi conoscenza e con dolore riuscii ad alzarmi barcollante ma senza cadere. Chiamai diverse persone, ma solo un amico, dopo tanto, si svegliò. Venne a prendermi col suo fuoristrada e mi accompagnò in ospedale.
I medici al pronto soccorso parevano scettici, poi una dottoressa pensò di farmi camminare dritto e con gli occhi chiusi… e caddi. Ricovero immediato in Neurologia.
Mi venne a cercare il primario, cortesissimo:"signor Paolo, sembrerebbe un ictus, però dobbiamo fare altra indagine per avere conferma".
Su un immenso monitor guardai insieme a due medici tutto il mio cervello. Non era ictus.
Venni poi dimesso con una diagnosi col punto interrogativo, dato che nulla si capiva chiaramente. Presunto problema al sistema auricolare. Forse pure il freddo aveva la sua parte. Ma forse pure lo stress.
Comunque tornai a casa il 24 dicembre. Si festeggiò Natale in qualche modo. Scrissi una lettera ai figli.
Questo inverno attuale è oggettivamente molto meno freddo dei passati, eppure vivo un freddo glaciale, più che mai. Forse la solitudine, forse gli anni. Certo, non sono fatto per vivere solo. Bambino e poi giovane trepidante, sognavo la fine della mia solitudine come in una grande liberazione, sino a quando a ventisette anni siamo divenuti due in uno.
La bellezza dell’insieme. La unicità, la profondità. Il cuore proteso oltre.
Poi il sangue, la solitudine vera. Il freddo reale.
Un solo disegno che si dispiega, nel tempo, nell’inimmaginabile, sino a questo scrivere.
Mi è giunta una mail, riguardo a Margherita C.: “…ti scrivo, ora, non per approfondire il tema del vangelo e dell'Amore come rivoluzione pacifica e colorata che può cambiare il mondo, probabilmente ciò tornerà così evidente in questi tempi bui, ma per ricambiare il dono che sempre porti, ovunque tu ti esprima, quasi un carisma personale che Dio ti ha donato, ed è il dono di rivestire di carne umana l'Invisibile.
Alcuni anni fa, come fugge veloce il giorno! -, organizzasti un rendez vous con alcuni protagonisti di quegli anni, con alcune figure, per me ancora notevoli, di quell'avventura della mia adolescenza; evento cui fui anch'io invitato.
Ad un certo punto… per me fu un'improvvisa illuminazione, si aprirono le porte della percezione, in un istante compresi con tutto l'essere ciò che fino allora avevo assorbito senza averne una piena comprensione, oppure solo una comprensione mentale: la bellezza, l'intensità, la grandiosità per noi di quei nostri anni… concludo ringraziandoti per avermi ancora una volta riportato a quegli anni, a quell'atmosfera, a quel vissuto nei solchi del Vangelo; ma, soprattutto… di avermi ricordato quanto collettivamente abbiamo vissuto e costruito, creduto e sperato, dato e ricevuto amore fraterno, sperimentato per lunghi tratti un modo diverso di essere società, comunità, relazioni significative in movimento, persone amate e accolte sine qua non…
Non ci saranno fallimenti personali o collettivi che potranno rendere nullo l'autentico vissuto.
Ciao, Paolo. Il Signore ti sostenga nel martirio dell'amore. Fino ad oggi c'è riuscito! E sii memoria viva, ancora.”
(Foto mia, Umbria 2015)