venerdì 11 aprile 2014

Trenta ore d'ospedale

Quanto tempo che non pubblico! Troppe cose, e importanti, sono accadute nella mia vita: vado con ordine, spero di riuscire a dire bene…

Era da forse tre anni che non facevo un po’ di ospedale. Questo era in aria da tempo, poi è rapidamente accaduto. Trenta ore in ospedale, ogni tanto, mi paiono salutari (e naturalmente parlo per me, come sempre)! Salutari perché rimettono la palla al centro, azzerano tante cose inutili, fanno un po’ di pulizia anche se lì per lì non ne senti l’esigenza.

Intervento in anestesia locale. Mi ha operato un chirurgo con cui c’erano conoscenze comuni. Nell’attesa si liberasse la sala operatoria ci siamo fatti delle grandi risate, insieme ad un altro chirurgo di passaggio, tanto che temevo uscisse qualcuno a farci un urlo. Poi all’anestesia una dottoressa molto umana, grande. Insomma, tutto col cuore leggero.
I problemi più grossi li ho avuti per via del letto, non proprio adatto alla mia schiena. Il dolore dell'intervento è giunto molto dopo, ma decisamente tollerabile.

Il mio collega di stanza, un uomo anziano e con diverse disavventure sulle spalle, aveva passato momenti difficili il giorno precedente. Mi ha raccontato di questo e di tanta sua vita. Lui e la moglie, quando son partito, si son resi conto che solo mi avevano visto giungere e solo mi vedevano partire, sbilenco. Certo, avevo avuto diverse visite, c’era chi faceva da autista (grazie!), ma loro mi vedevano solo. E sicuro lo star male e pure una convalescenza in questa solitudine non sono una passeggiata.

Poi sono stato a fare il terzo figlio da mia figlia, per parecchi giorni. Praticamente sequestrato: “In quella casa non puoi stare solo, e poi le scaleeee!” Mi ci vien da ridere un po’, ma pure questo è Vangelo: “Quando sarai vecchio altri ti condurranno!” Allora si parlava solamente di vecchiaia e non certo di matrimonio in solitudine, impensabile.

In ospedale e poi in convalescenza, con me diversi libri. Due ne ho letti, in alternanza. Samuel Beckett e don Primo Mazzolari. Sembrano lontanissimi tra loro, eppure si toccano. O almeno: io li faccio toccare.
Parlano dell’uomo, del suo esistere. Da angolazioni molto diverse ma alla fine tutto pare convergere. 

L’angoscia che toglie il respiro, in Beckett. Il teatro dell’assurdo (a volte manco troppo), situazioni esasperate che ben rendono la solitudine, il dolore del vivere, l’incomunicabilità, “un qualcosa circondato dal nulla”. Scritto tanti anni fa, ma quasi profetico. O forse: l’uomo è sempre l’uomo.

Don Mazzolari non lo conoscevo, un libro regalatomi da tempo. Un parroco di paese scrive nel 1940 dei discepoli di Emmaus, ma scrive intorno all’uomo di sempre, pure lui. Un’attualità incredibile nella visione della realtà, e specie della Chiesa, come se nulla fosse cambiato negli ultimi settant’anni.
E ci trovo molto che mi riguarda. Dovrò rileggerlo, in maniera più analitica.

“Bisogna avere occhio a Dio e all’uomo: raccogliere il gemito che sale e il raggio purissimo che discende, se vogliamo rispettare e aiutare il momento umano della verità, che è il momento che ci riguarda. Chi conosce bene se stesso è in condizione di capire il momento umano…” 

“La speranza è un credito fatto a Dio oltre ciò che l’uomo può vedere e capire. La beatitudine incomincia dove finisce il vedere: Beato chi crederà senza aver visto. I pazienti e gli audaci, che son poi i veri “umili di cuore”, preparano il Regno, rinunciando ai propri piani e sforzandosi di entrare nei piani divini.” 

I pazienti e gli audaci: bellissimo, pare di parlare dei separati, di questa mia "involontaria categoria”: “preparano il Regno, rinunciando ai propri piani e sforzandosi di entrare nei piani divini”!

(foto mia, Biennale Venezia 2012)

1 commento:

  1. E questo è un vicolo cieco. Come la morte, come la morte quando sopraggiunge dopo una lunga battaglia, sopportata amando e amando senza conoscere intellettualmente l'alchimia di Dio, ma solo perché però Cristo ha fecondato la carne dell'Umanità e la resa partoriente di Lui; morire dopo un'agonia e assistervi impotenti ma intuire che quel dolore è così (in negativo) simile alle doglie di un parto, è simile perché fiorirà in un'altra Vita; perché, caro Paolo (e grazie per questi tuoi doni di fedeltà all'amore e all'Amore), o ci apriamo alla Speranza o ci consumiamo nella disperante assenza di ogni Prospettiva che riscatti ogni nostra finitudine; però non è solo una nostra elaborazione consolatoria, ma l'intuizione e la visione che trafigge il momento in cui riusciamo ad entrare per grazia nella purezza del cuore: allora ogni Notte dell'Uomo viene schiusa dall'Alba di Dio.

    Un abbraccio

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